La Compagnia degli esploratori

La Compagnia degli esploratori della Brigata Paracadutisti “Folgore”

Una cosa bella nella vita è quella di desiderare di svolgere un’attività che ti lasciano fare e poi ti dicono anche bravo.

Ecco, questa è stata l’ ”avventura” Compagnia Esplorante in cui tuitti gli uomini che la componevano, nel pensiero, nell’animo e nel fisico erano Paracadutisti di cui la maggior parte era costituita da Italiani in Servizio militare di leva.

Incaricato di costituire la Compagnia Esplorante della  B. par “Folgore” dal Col Furio Talluri nel settembre 1975 Comandante del 1° Reggimento Paracadutisti, il Cap Enrico Celentano aveva iniziato i lavori con l’individuazione dei locali (ove sistemare gli uomini, i materiali, le armi, i mezzi e gli uffici che avrebbero fatto parte dell’unità) e l’acquisizione degli stessi presso la Caserma Artale in Pisa con lunghe ed estenuanti riunioni con i Comandanti del Btg L, della Cp. c/c, della Cp. Genio e del Nucleo stralcio del 3° Rgt che sgomberava e rendeva disponibili i locali con una lentezza esasperante. Ciò in quanto la Compagnia Autonoma doveva svolgere in proprio tutte le funzioni alla stregua del Comando di Reggimento (Corpo).

Ciò significava che il Comandante di Compagnia disponeva del bollo tondo della Repubblica Italiana, del bollo per la franchigia postale, dei Capitoli di spesa, della potestà sanzionatoria per le mancanze disciplinari di corpo e della capacità di inviare in Servizio isolato gli Ufficiali, i Sottufficiali ed i militari di truppa dipendenti.

Nel corso del primo mese di vita (ottobre 1975) alla Compagnia erano stati trasferiti una dozzina di paracadutisti provenienti dalle altre Unità della “Folgore” ceduti dai rispettivi Comandanti non certo per la loro disciplina esemplare. Inoltre erano stati assegnati alcuni materiali, qualche arma e pochissimi mezzi, anche loro scelti sicuramente non tra i più efficienti. Agli inizi del mese di novembre il Comando Brigata dispose il rischieramento temporaneo del Comandante della CEPAR. al Gruppo Tattico CIMA in Rovezzano (Firenze), quale Vice Comandante. L’unità che era interforze, assicurava la vigilanza sulle opere d’arte (ponti e gallerie) della linea ferroviaria Firenze – Bologna, oggetto di un recente attentato terroristico.

L’impegno durò circa quaranta giorni e comportò:

  • ispezioni pressochè continue ai posti di vigilanza (PV) presidiati da uomini dell’EI, della MM e dell’AM;
  • l’invito a cena del Cte del Gruppo tattico CIMA (futuro Cte del 5° Btg. Par. a Siena) e del suo Vice (Cte della nascente CEPAR) da parte di una locale proprietaria terriera con il tentativo di maritare una delle due figlie partecipanti al convivio;
  • l’acquisizione di una “perla” di verità scaturita dall’affermazione di un Sottotenente del Battaglione corazzato della B. FRIULI allora schierata a Firenze. Predetto Ufficiale, probabilmente di complemento raffermato ed addetto al Minuto Mantenimento della Caserma, stava osservando dei militari che in tuta blu stavano chiudendo una finestra completa di vetri, mediante due muri di mattoni disposti “a foglia”, uno interno ed uno esterno alla finestra stessa. Tale “operazione edile” aveva richiamato l’attenzione del Comandante della CEPAR che passando accanto al luogo del fatto, chiedeva al Sottotenente il motivo di quella strana attività che non consentiva il recupero della finestra per un suo futuro eventuale utilizzo o dei vetri della stessa in considerazione che questi sono oggetto di continue rotture da parte dei militari. L’Ufficiale rispose: “Vede Signor Capitano, io sono sicuro che il prossimo Comandante di battaglione mi chiederà di mettere una finestra proprio qua, dove l’attuale Comandante non la desidera”. Costui, ancorchè giovane, aveva già acquisito l’antidoto per una delle regole che purtroppo esistono nelle caserme: fare e disfare è tutto un lavorare;
  • il rinvenimento di un deposito “occulto” (ma non troppo) di stampati e di materiali di pulizia, talmente carico che, con il contenuto, trasferito in modo discreto a fine mandato nella Caserma ARTALE di Pisa, sono state soddisfatte le esigenze della CEPAR per circa due anni;
  • l’azzeramento totale dell’indennità di missione, maturata in quaranta giorni, per il saldo dei conti di due persone per il pernottamento (1 notte) presso la pensione Monna Lisa in via Dell’Orioli, un pranzo ed una cena in ristoranti tipici della bella e cara Firenze.

Rientrato a Pisa il Comandante della CEPAR, in considerazione della lentezza della burocrazia per ottenere le armi, gli apparati radio ed i mezzi, concentrava i propri sforzi sull’attività fisica, sulla preparazione teorica dei paracadutisti e sulla topografia, mirata all’orientamento ed alla lettura della carta topografica. Dal punto di vista infrastrutturale, nonostante gli impegni profusi in sede di trattative con gli altri aventi causa, la situazione non era delle migliori. Infatti la Compagnia aveva  “possedimenti” nei quattro punti cardinali dell’ARTALE. Il Comandante della Compagnia aveva l’ufficio nell’edificio Comando posto ad E dell’ex convento pisano, le camerate erano situate a N ove era collocata anche l’armeria, il magazzino era a  W ed il nucleo addestramento a S, nella stanzetta ex cabina di proiezione del  cinema della caserma.

La Caserma era dotata di un grande cortile ornato da alberi di specie diverse, comprese due palme. Uno spazio fu destinato a parcheggio di mezzi in dotazione a quattro reparti per il trasporto del personale da e per la Caserma. L’ altra Caserma o Compendio Bechi Luserna e in via Aurelia, adiacente alla sponda destra dell Arno, dove sarebbero dovuti essere ristrutturati locali e capannoni da destinare alla spartizione di tutti i mezzi meccanici, ricovero dei mezzi del Genio, della Motorizzazione  e quant’altro.  Inoltre laboratori per la riparazione dì materiali vari, rifornimento di carburanti, rifornimento pezzi di ricambio, falegnameria, servizi, docce, piani lavaggio mezzi ecc…
Oltre la parte in muratura e di ricovero fu ristrutturata a zona sportiva un quattro – cinque ettari di terreno dove furono realizzati, quasi tutto dalla Cp Genio, un campo regolamentare da calcio circondato da una pista da 400 mt., buche per salti vari, uno stupendo percorso ad ostacoli, molto impegnativo, campo da tennis, campi da pallacanestro, pallavolo.
Inoltra vi furono trapiantati un centinaio di alberi di vano tipo. Ancora oggi dopo tanti anni. transitando per Lungarno Cosimo I,  la dovizia   degli alberi all’interno di quella Caserma la rende molto gradevole.
Tutti fummo coinvolti. Il contributo in ogni settore fu totale. L’armonia che regnava, lo spirito di Corpo che ci accomunava erano stimoli a dare il meglio di noi stessi.
La competizione nello sport, in quel frangente, fu incentivo per tenere alto il morate a non far calare la grinta. Nessuno stressava per quel ritmo di lavoro così impegnativo.
Malgrado ciò. nessuno di noi era esentato dal compito principale della nostra specialità “l’ addestramento specifico e quello complementare”.
Preparazione all’ aviolancio, supposti tattici, pattuglie con esercitazione topografiche di giorno e di notte, esercitazione di tiro, condotte evasive, attività teoriche per arricchire il bagaglio culturale tecnico professionale, regolamenti, governo del personale topografia ed altro.
I ricordi e le persone di quegli anni sono intensissimi li penso con nostalgia ad affetto, tutti. Come non ricordare per esempio il Cap. Quaresimin (oggi generale). Era sempre con qualche attrezzo o mezzo a lavorare, usava qualsiasi utensile e qualsiasi mezzo in dotazione al reparto: il suo reparto è stato l’artefice della ristrutturazione di quella Caserma. Persona sempre sorridente, sempre disponibile, molto ligio al dovere.
Con il tempo le parti basse delle pareti del predetti locali furono rivestite con doghe di legno ricavate dalle casse delle munizioni impiegate, tra le quali maggiormente utilizzate furono quelle dei colpi di cannone da 106 senza rinculo perché di legno più compatto, quasi privo di nodi e di colore rossiccio.
Ma nonostante tutte quelle difficoltà, si può affermare che il periodo trascorso a Pisa, quasi due anni, è servito ad impostare, avviare e condurre la preparazione degli esploratori paracadutisti, cioè di uomini preparati sia spiritualmente (ed al riguardo il canto insegnato dal bravo, intonato ed efficiente Ten Mario Magrino era una componente fondamentale) che fisicamente in virtù della attività ginnica svolta. Soldati, in grado di svolgere attività operative complesse, di “navigare” con la carta topografìca, di sparare bene. di saper guidare più mezzi, consapevoli del perché delle cose e quindi in grado di scegliere autonomamente, abituati ad assumere il Comando della Compagnia durante le attività fisiche o l’addestramento formale su ordine del Comandante di Compagnia che ceduto il Comando dell’Unità si inquadrava nei ranghi per seguire gli ordini che venivano impartiti dall’allievo prescelto, che spesso coincideva con un futuro caporale. I caporali della CEPAR erano la forza della Compagnia. Pochi, promossi caporali solo se in possesso del carisma del Capo, seri, di poche parole, abituati a comandare perchè adusi ad assumere decisioni in proprio. Era infatti consuetudine che gli Ufficiali ed i Sottufficiali presenti in una qualsiasi formazione ( Compagnia,   plotone,   squadra,   pattuglia)  non comandassero mai in prima persona, ma il Comando veniva affidato al paracadutista più in gamba presente che veniva corretto solo ai fini della tutela della sicurezza del personale: se errava lo si lasciava sbagliare per imparare. La stessa tecnica era seguita anche durante le fasi dell’attività di pattuglia. Gli Ufficiali e i Sottufficiali facevano parte delta formazione agli ordini del Comandante prescelto, in genere dal Comandante di Compagnia. E questo era un punto d’osservazione privilegiato che consentiva ai Quadri di conoscere le reazioni di ogni uomo nei momenti difficili della stanchezza, del sonno, delle “bagnate” rimaste proverbiali.
Si ricorda la furbizia ai alcuni che al momento del confezionamento degli zaini non caricavano i viveri (da prelevare dalle razioni di  combattimento assegnate che anziché finire nel rifiuti venivano raccolti e donati ai Conventi) ed acqua per essere più leggeri e la generosità di altri che, in bivacco, cedevano spontaneamente i propri generi ai commilitoni affamati ed assetati senza formulare nessuna considerazione al riguardo.
Ed è in questo modo che venivano fuori i veri Comandanti in grado di operare senza ricevere ordini come in occasione dell’esercitazione di difesa e dì attacco all’abitato di Frontignano interamente svolta da paracadutisti al comando di due caporali, uno in ruolo difensivo e uno in ruolo di attaccante, avioianciati in due distinte missioni con i loro uomini, intervallate di qualche giorno a 130 km dalla Caserma, con armi e radio, autonomi per 7 giorni consecutivi.

Quando scarseggiavano le qualità del Capo tra gli assegnati alla CEPAR non si promuovevano caporali e le funzioni di graduato per i servìzi della caserma, ahimè sempre presenti, venivano assicurati dal paracadutista più anziano.
Ogni lancio non era mai fine a se stesso e l’attività veniva inquadrata in un supposto tattico,descritto nell’ordine di operazione (STANAG 2014) sempre approntato che vedeva i paracadutisti, una volta raggiunto il terreno, mettere l’arma in condizione di sparare, riordinarsi di corsa indossando l’elmetto e dal punto di raduno muovere con movimento di pattuglia in territorio supposto controllato dal nemico. In pratica muovere di notte, fuori  strada, senza lasciare traccia (i fossi con acqua erano la via ricercata). Quando la zona lancio era Tassignano il più delle volte prevedeva lo scavalcamento del Monte Serra con recupero alla Certosa di Calci o con rientro direttamente in Caserma se di notte.
In alcune occasioni il rientro è avvenuto sull’aeroporto di Pisa ove gli uomini reimbarcati sui velivoli sono stati aviolanciati su una diversa zona di lancio dalla quale sono rientrati in Caserma a piedi. È accaduto, talvolta che gli uomini che si ripresentavano in aeroporto erano talmente infangati che non venivano fatti salire sui velivoli  se non previa pulizia e rimozione di ogni  traccia di fango dalle uniformi e dagli stivaletti.
Tutti i trasferimenti, effettuati sempre  con le modalità del movimento in territorio supposto controllato dal nemico, prevedevano le attivazioni delle pattuglie da parte dei paracadutisti di altri plotoni della CEPAR.
Con il trascorrere dei mesi, durante il periodo Pisano, alla CEPAR , venivano assegnati uomini, armi. materiali e mezzi che consentivano di svolgere in maniera sempre più efficace l’addestramento. Degni di nota. in quel periodo, tra gli altri:

  • gli accampamenti fatti presso la palestra d’ ardimento, ora palestra Lustrissimi, a Livorno per l’addestramento al coraggio dei singoli uomini per il quale il Comandante della CEPAR aveva compilato un regolamento per l’effettuazione dei diversi esercizi a favore di tutta la Brigata e nella quale attività la CEPAR ha acquisito una tale pratica da essere chiamata in causa ogni volta che per i visitatori della Folgore, italiani ed esteri, veniva prevista l’attivazione della palestra; ciò aveva dato alla Compagnia il nominativo di “Circo CEPAR”;
  • le scuole tiro c/c con l’arma principale della CEPAR: il cannone senza rinculo da 106. Le attività venivano svolte presso i poligoni di tiro a mare di Foci Reno sull’ Adriatico e di Pian Di Spille sul Tirreno.

Quello che lasciava a desiderare in tali occasioni erano i pasti confezionati con la cucina rotabile da mani inesperte e scarsi come entità delle razioni, calcolate dal Sottufficiale ai materiali che non aveva avuto alcuna formazione al riguardo. Per questo e per l’abitudine che gli Ufficiali ed i Sottufficiali si servissero per ultimi, capitava che i più anziani, spesso, rimanessero senza cibo.
Si ricorda che il Serg, Magg. Franco Cerbone, in una  occasione, al rientro dal giro fatto presso i fornitori dì carne, pane, frutta e verdura di Foci Reno esterrefatto, aveva riferito al C.te di Cp di offerte di denaro fattegli dai negozianti locali per “aggiustarsi” sulla fornitura dei vari generi.

Altro episodio da rimarcare nei periodo è quello del prelevamento senza autorizzazione del proprietario di uno scheletro di camion completo di ruote che era stato trasferito dall’area di un cascinale fuori poligono sulla linea dei bersagli per essere preso a cannonate.
L’ intervento del padrone, alquanto turbato e accompagnato dai carabinieri locali, ha impedito che il rudere mobile, al quale l’infuriato possessore aveva attribuito un elevato valore, fosse distrutto dai micidiali colpi del 106 degli Esploratori Paracadutisti.
Ai primi mesi del 1977 si cominciava a sentire “radio naja” parlare di un trasferimento a Siena di uno dei due battaglioni, il 2° o il 5° della Caserma Vannucci in Livorno. Il Comandante della CEPAR che aveva avuto modo di conoscere la Caserma Lamarmora in occasione delle Esercitazioni di aviolancio sulla zona lancio ( ZL) di Ampugnano alle quali aveva partecipato come Comandante di pattuglia guida con rischieramento preventivo a Siena, proprio presso l’infermeria della Caserma Lamarmora sede dell’84° Battaglione di fanteria Venezia (CAR), aveva avuto modo di valutare gli spazi disponibili in quella infrastruttura.

Ecco. quindi, offrire al Comando Brigata la propria candidatura per raggiungere Siena prima del battaglione prescelto al fine di riunire, possibilmente bene, la propria unità che come detto in precedenza era smembrata in più “pezzi” nell’ambito dell’Artale di Pisa. II Comandante della Folgore, pro-tempore, Gen Gaetano Pellegrino aderiva alla richiesta e convocava il Comandante della CEPAR per alcune raccomandazioni su! modo di presentare i paracadutisti in quella magnifica città toscana ove, come di  norma accade agli uomini FOLGORE, erano stati preceduti dalle solite voci che tentavano insistentemente di porre in cattiva luce i migliori soldati della Repubblica.
In una fresca e nebbiosa mattina di maggio del 1977 l’autocolonna della esplorante con mezzi e materiali veniva salutata dal Vice Comandante della Brigata Col Giorgio Malorgio, quindi, Comandante di Compagnia in testa, su moto Guzzi “Nuovo Falcone 500” la CEPAR lasciava I’Artale con destinazione Lamarmora – Siena.
In realtà “l’operazione Siena”   come era stato battezzato il trasferimento, aveva avuto inizio da qualche settimana con l’aggregazione presso l’84° btg Venezia di alcuni nuclei di esploratori paracadutisti, con adeguato titolo di studio, prestanza fisica e portamento per effettuare i rilevamenti delle planimetrie di tutti i locali, degli impianti elettrici esistenti e per il reperimento di alloggi per U e SU dal libero commercio locale.
I risultati di tali attivila condotte autonomamente da paracadutisti di leva, che avevano ricevuto tra gli altri il compito di uscire dalla Caserma sempre in uniforme e tenere un comportamento impeccabile verso la popolazione senese, sono stati la base per l’elaborazione dell’Ordine di Operazione e dei progetti per l’adattamento della infrastruttura senese che ospitava un Centro Addestramento reclute, ad alloggiare due reparti operativi: il 5 battaglione paracadutistl  e la CEPAR con tutte le loro armi, i loro mezzi ed i loro materiali.
Volontà di non perdere il livello addestrativo raggiunto, di assolvere presto e bene al mandato ricevuto e di entrare in punta di piedi nella città senese regolava ogni attività degli Esploratori paracadutisti. Le adunate per I’ alzabandiera avvenivano in un settore del cortile della Lamarmora assegnato dai padroni di casa: l’84° battaglione Venezia e gli ordini per l’esecuzione della cerimonia venivano impartiti all’ Unità dal Comandante di Compagnia dopo quelli dati alle Compagnie reclute dal Comandante di battaglione Ten. Col. Enzo Esposito.
I paracadutisti si adunavano secondo l’organico per i controlli della forza presente e dopo l’alzabandiera rompevano le righe per costituire le squadre di lavoro secondo i precedenti dì mestiere: muratori, elettricisti, fabbri, falegnami, idraulici, ecc.
E’ da considerare il fatto che l’incarico 107 (esploratore) era un incarico “pregiato” e quasi tutti i paracadutisti esploratori erano diplomati. Pertanto i militari con precedenti di mestiere erano concentrati solo tra i conduttori di automezzo e tra quelli non effettivi al Plotone Comando che non avevano incarichi “tattici”. Era presente, quindi, una elevata percentuale di paracadutisti che non avendo avuto esperienze di lavoro, perchè avevano studiato, aiutavano i meno fortunati operai apprendendo cosi il mestiere per imitazione. La volontà c’era e i risultati si vedevano.
Sono stati rifatti tutti gli impianti elettrici delle palazzine alloggi, costruiti cancelli per tutte le armerie e magazzini, sistemati tutti gli infissi, e questo è stato il lavoro più impegnativo, sono stati tinteggiati tutti i locali, ripristinati gli impianti idraulici dei servizi igienici ed eseguiti tutti i lavori più urgenti per consentire l’afflusso della prima aliquota del 5° Battaglione: la 13° Compagnia “CONDOR” al Comando del Capitano Calogero Cirneco.
II premio di quelle impegnative e poco gradite attività era costituito dai lanci sulla ZL Ampugnano svolti prevalentemente da elicotteri CH47 e AB205 e da pattuglie notturne che toglievano riposo agli uomini ma costituivano incentivo per i paracadutisti che avevano chiesto di fare proprio quel “mestiere” duro e impegnativo durante la naia.
La volontà di fare imparando il mestiere magari sacrificando anche il tempo libero è bene rappresentata da un esempio il Caporal Maggiore Roberto Cheli che utilizzando la forgia, l’incudine ed il martello ha imparato a battere il ferro da solo; si sentivano i colpi di martello sull’incudine la domenica pomeriggio fino a tarda sera. Quel bravo giovane ha fatto tutti i cancelli ed i lampadari del Ciircolo Unificato ed ora è un rinomato artigiano del ferro battuto nella provincia di Lucca.
Nel frattempo avveniva il trasferimento degli uomini, dei materiali, e suppellettili dell’ 84° btg f. Venezia nella sede di Falconara Marittima ed i lavori erano diretti dall’alba al tramonto dall’efficiente e sempre presente Cap. David Contigiani la cui voce, dal caratteristico  accento marchigiano, risuonava nel  cortile della Lamarmora per impartire disposizioni ai responsabili dei mezzi pieni di materiali destinati a Falconara. Ricordo che il materiale dell 84° veniva sottratto e caricato all’improvviso e ci si trovava così privati dal mobile, dall’attrezzo che si stava utilizzando. Alla mensa Ufficiali e Sottufficiali si sedeva sugli sgabelli di ferro in  uso nelle camerate truppa. L’unica sedia rimasta era riservata alla eventuale Signora presente, secondo il rango del marito.
In quei periodo grazie ai ricoveri presso il vecchio Ospedale Civile di SIENA dei paracadutisti che si infortunavano ai lanci, sono stati allacciati rapporti di amicizia con i dottori del pronto soccorso.
II più carismatico, efficiente e simpatico era il Dott Duilio SCAFA seguito da una schiera di giovani promesse della medicina (il ben educato e dal gentile aspetto Alessandro TAMAGNINI di Viterbo, Fulvio Moramarco ( spiritoso pugliese) con i quali si socializzava in simpatici convivi, (cui partecipavano anche il Capitano delia Polizia Stradale Giorgio Testa militare ed italiano convinto, intransigente nel Servizio, amante dell’onestà e dell’ordine delle organizzazioni e, talvolta, il giovane Frà Giovanni nella cui cella, in convento c’era la foto di Carole Andrè, gran tocco di. . . dell’epoca e con il quale in qualità di “padrone di casa” talvolta sono state visitate le cantine dei convento con reiterati assaggi del vino ivi custodito) spinti fìno a notte fonda e caratterizzati da abbondanti libagioni che comunque non hanno mai causato l’assenza degli Ufficiali partecipanti, all’alza bandiera del giorno successivo.
Una delle promesse della medicina al saluto individuale degli invitati fatto in occasione della laurea conseguita con il massimo dei voti presso un noto ristorante nei pressi di SIENA augurava al Comandante della CEPAR di vivere il più a lungo possibile ma di morire di colpo in modo da evitare di cadere in mano ai medici.
Nel quadro delle direttive ricevute dal Gen Pellegrino, il Comandante della CEPAR, in accordo con il Conte Marcelle Cristofani della Magione, la cui conoscenza risaliva ai tempi delle missioni a SIENA per le esercitazioni di aviolancio, aveva organizzato la cerimonia per il “gemellaggio” con gli esploratori della Val D’Elsa. Costoro erano un gruppo di Scouts, ragazzi e ragazze di onesta famiglia di Poggibonsi, cittadina industriale a N di Siena e dintorni, educati da buoni italiani al sentimento religioso, della Patria e della famiglia dal laro instancabile e sempre presente Gran Maestro che tra le altre cose è riuscito a recuperare una antica chiesetta con annesso piccolo borgo adibita a stalla, restaurandola e riportandola agli antichi splendori per farne la sede degli SCOUTS ribattezzando il complesso “Castello della magione”.
Con l’afflusso della 13^/5° il Comando della Folgore decise di costituire un Distaccamento che comprendeva CEPAR e 13^ al Comando del Magg. Giorgio Gualandi rude e generoso soldato di grande preparazione morale e militare che ha diretto il Distaccamento senza mai invadere la sfera di autonomia della CEPAR.
Anche il periodo del Distaccamento fu caratterizzato da grande zelo produttivo.
Fervore che bene attecchiva nei Quadri costituiti totalmente dal giovani che di iniziativa avevano chiesto per spirito di novità di trasferirsi a Siena lasciando a Livorno i più anziani, meno disposti a seguire il battaglione a causa di problemi legati alla scuola, alle amicizie dei figli ed al lavoro delle mogli.

Con l’ afflusso a Siena delle restanti Compagnie del 5° battaglione il Comando dello stesso passò dal Ten Col Giuseppe Enriquez Comandante del 5° nella sede di Livorno al Ten. Col. Augusto Marinelli, Comandante dello stesso btg nella sede di SIENA. Il Distaccamento cessò di esistere e con il termine dei lavori previsti, la ripresa dell’addestramento a pieno ritmo ridiede finalmente ai paracadutisti la convinzione di aver scelto bene nel chiedere di far parte della specialità.
Negli anni successivi ogni sforzo fu esercitato per formare il paracadutista prima come singolo combattente, poi abituarlo ad agire in coppia, nucleo indissolubile, quindi ad operare nella squadra di appartenenza a sua volta inquadrata nel plotone ed infine nella Compagnia. E questo fu un lavoro continuo e non facile.
Ciò anche in considerazione che la Compagnia riceveva mensilmente uomini pari ad un dodicesimo della Forza Organica e ne poneva in congedo altrettanti, venendo cosi a mancare l’affiatamento dell’Unità, caratteristica peculiare dei paracadutisti inoltre in quel periodo furono aboliti tutti i corsi per la formazione del personale confidando sull’ apprendimento per imitazione. Ed e proprio per questo motivo che fu realizzato un opuscolo a fumetti grazie alla buona mano del paracadutista Enrico Curti che al termine delle attività addestrative, di sera, traduceva in disegni gli scritti che il Comandante delia CEPAR compilava durante i trasferimenti su automezzo da Siena a Livorno e ritorno per partecipare alle riunioni presso il Comando Brigata.
I crìterì che vennero insegnati e costantemente richiamati agli uomini della CEPAR furono:

  • Velocità di esecuzione di qualsiasi ordine od attività;
  • Diradamento sul terreno degli uomini (10 metri di intervallo tra gli stessi) e dei mezzi (100 metri tra mezzo e mezzo):
  • Giroscopio per quanto riguarda la volontà di perseguire comunque, a prescindere dalle diverse sollecitazioni, la missione assegnata;
  • Missione da tenere sempre presente e come faro di riferimento;
  • Schema per l’approntamento di documenti operativi che non doveva essere inventato perché sicuramente esiste (raccolta STANAGS);
  • Accompagnamento cioè coordinamento del fuoco con il movimento con il “coppio” o con il resto della squadra.
  • Concludere le missioni assegnate e riferire a chi aveva ordinato, a cose fatte;
  • Aggiornamento continuo sia dal punto di vista professionale, tecnico e sia culturale;
  • Sfruttamento del terreno: vedere e non essere visti;
  • Intanto cioè pianificare i tempi di esecuzione in parallelo e non in serie;
  • Ginnastica di ogni genere come afferma il decalogo dei bersaglieri, fino alla frenesia.

Tale pressione costante su tutti gii uomini della CEPAR, ad iniziare dai Quadri che dovevano costituire esempio, diede risultati concreti ed apprezzati. Infatti la CEPAR tu prescelta per le attività più importanti a cui la Folgore fu chiamata a partecipare. In tale quadro è Inserita anche la esercitazione Folgore – Devil svolta a Fort Bragg negli Stati Uniti D’America ove I’esplorante sorprese i paracadutisti  della 82^ Divisione in tutte le attività svolte.
In particolare di quel mese estivo sono da porre in evidenza i seguenti episodi:

  • l’attacco notturno delle pattuglie italiane agli apprestamenti difensivi statunitensi perfettamente riuscito perchè pioveva come Dio la mandava e i professionisti  USA si sono fatti sorprendere tutti al riparo delle loro tende dagli esploratori di leva inzuppati fino alle orecchie;
  • l’attacco riuscito alle posizioni avversarie previo superamento con canotti di un corso d’acqua con ordini agli italiani impartiti “sul tamburo” che sortì l’emanazione di un ordine di operazione grafico concepito e dato in piedi ai Comandanti di plotone;
  •  la traslazione su cavo d’acciaio con carrucola con rilascio nelle nere acque d’ un corso d’ acqua cui parteciparono tutti i paracadutisti, anche quelli che non sapevano nuotare e che furono ripescati mediante lunghe pertiche. Dimostrazione questa che il coraggio non è certamente l’assenza della paura ma la capacità al tirare avanti con dignità nonostante la paura ha strabiliato gli uomini della 82^ Divisione;
  • l’ìncredulità dei Comandanti e degli uomini USA che non volevano accettare l’idea che gli Italiani fossero soldati in Servizio di leva.

Ecco, tutto quanto precede è in sintesi ciò che il 1° Comandante della CEPAR ricorda di quella Compagnia che, senza presunzione, chiamava e chiama Magnìfica e non è il solo a farlo.

“Non L’oro ma i buoni soldati sono il nervo della guerra”
Niccolò Macchiavelli

 

Approfondimenti

Ten. Col. F. Par. Arturo Bongiorno I primi uomini della “Folgore” alla Caserma Artale di Pisa 
Ten. Col. Mario Magrino I pionieri della CEPAR