Guerra italo-turca

Guerra Italo – turca

Nel contesto storico del primo decennio del Novecento, la guerra italo-turca del 1911-1912 rappresenta un momento cruciale nel processo di espansione coloniale dell’Italia e segna una transizione importante nella configurazione geopolitica del Mediterraneo. La genesi del conflitto affonda le radici in una serie di fattori politici, economici e strategici maturati nel tempo. Dopo il trauma nazionale causato dalla sconfitta in Abissinia nel 1896, l’Italia aveva evitato ogni coinvolgimento espansionistico; tuttavia, il crescente benessere interno e l’emergere di un’opinione pubblica favorevole alla colonizzazione—alimentata dall’Associazione Nazionalista e dalla retorica del “posto al sole”—portarono alla ripresa delle aspirazioni imperiali, con la Libia come obiettivo principale. Il risorgere della questione marocchina e le relative modifiche dell’equilibrio mediterraneo a sfavore dell’Italia rafforzarono tale orientamento. La Libia, ultimo territorio dell’Africa mediterranea ancora sotto il controllo ottomano, divenne così oggetto di interesse strategico, non solo per la sua posizione ma anche per il timore di un’espansione tedesca, legata ai progetti ferroviari transsahariani. L’Italia, dopo aver ottenuto rassicurazioni da Francia e Inghilterra circa il loro disinteresse nella regione, colse l’occasione di un incidente diplomatico nel settembre 1911 per dichiarare guerra all’Impero Ottomano il 29 dello stesso mese. Le potenze europee reagirono con malumore, ma senza ostacolare concretamente l’impresa italiana. La Turchia, dal canto suo, pur avendo rafforzato militarmente la Libia, si trovò in inferiorità navale e logistica e adottò una difesa passiva, confidando forse in un intervento internazionale a proprio favore. L’Italia predispose un corpo di spedizione di 34.000 uomini, sotto il comando del generale Carlo Caneva, ma le previsioni secondo cui la popolazione indigena sarebbe rimasta neutrale si rivelarono tragicamente errate. Fin dai primi giorni, le tribù libiche si unirono attivamente alla resistenza, organizzate in mehalla irregolari sotto il coordinamento di ufficiali turchi, costringendo l’Italia a mobilitare progressivamente circa 200.000 uomini. Le prime operazioni videro lo sbarco e la rapida conquista delle principali città costiere—Tripoli, Tobruk, Derna, Bengasi, Homs—ma la presenza ostile delle popolazioni locali e la guerriglia organizzata impedirono una stabilizzazione immediata del territorio. A Tripoli, la necessità di garantire la sicurezza dell’oasi di Tagiura condusse all’occupazione strategica di Ain Zara. Analoga fu l’esperienza a Homs, dove furono occupate le alture di Ras el-Mèrgheb e le rovine di Leptis. A Bengasi, notevole fu la battaglia delle “Due Palme”, nella quale le forze italiane riuscirono a respingere un attacco di Beduini guidati da ufficiali turchi. La città di Derna, situata in posizione difficile da difendere, fu teatro di aspri combattimenti, con la leadership nemica affidata al carismatico Enver Bey; solo a settembre 1912, con l’occupazione di Sidi Abdalla, la piazza fu completamente sistemata. Nel frattempo, la marina militare italiana svolgeva un ruolo fondamentale nel garantire il dominio del mare, scortare i convogli e colpire obiettivi nemici: memorabile fu la penetrazione di torpediniere italiane nello stretto dei Dardanelli fino a Kilid Bahr, in un’audace missione guidata dal capitano Enrico Millo. Altra operazione navale rilevante fu quella nel Mar Rosso, dove furono bombardati porti e catturate navi ottomane, assicurando all’Italia il controllo delle vie marittime. L’occupazione del Dodecaneso, con lo sbarco e la conquista di Rodi e delle altre isole dell’Egeo, fu pensata per colpire l’Impero Ottomano nel prestigio e ottenere vantaggi negoziali nelle trattative di pace. Anche in questo caso, la marina ebbe un ruolo decisivo, mentre l’esercito conquistava l’isola attraverso una manovra accerchiante e un combattimento decisivo a Psito. Con il consolidamento delle posizioni lungo tutta la fascia costiera libica, da Ras el-Màchbez a Tobruch, e con la creazione di una base avanzata a Misurata, l’Italia poteva ritenere raggiunti i principali obiettivi strategici. Tuttavia, l’espansione verso l’interno del territorio richiedeva una riorganizzazione delle forze e delle strategie, portando alla decisione di rendere autonome le due regioni libiche, Tripolitania e Cirenaica, con comandi militari separati. Sul fronte diplomatico, la guerra si protrasse ben oltre le aspettative iniziali. Nonostante le difficoltà e l’evidente superiorità italiana, la Turchia si mostrava riluttante ad accettare una sconfitta formale. Solo con l’esplosione della crisi balcanica e l’imminente attacco delle potenze slave all’Impero Ottomano, il governo turco si decise a negoziare la pace. I colloqui, riaperti a Ouchy, portarono alla firma del trattato di Losanna il 18 ottobre 1912. L’accordo, per salvare la faccia dell’Impero Ottomano, prevedeva un riconoscimento implicito, ma non esplicito, della sovranità italiana sulla Libia. Il sultano manteneva formalmente la sua autorità religiosa sulle popolazioni musulmane, mentre l’Italia assumeva il pieno controllo politico e militare del territorio. Le trattative furono condotte da esponenti italiani come Pietro Bertolini, Giuseppe Volpi e Giuseppe Fusinato, i quali interpretarono in modo ottimistico e forse ingenuo il ruolo simbolico del sultano come califfo, sottovalutando l’impatto duraturo che la sua influenza spirituale avrebbe avuto sulla resistenza locale nei decenni successivi.

     Roberto Marchetti

Fonte: treccani.it