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Battaglione Logistico Paracadutisti "Folgore"
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Ali alla vittoria
Diam l’ALI alla Vittoria: il Battaglione Logistico Paracadutisti “Folgore” in Somalia – 1992

“Sempre, comunque e dovunque!” – il motto della Folgore non è mai stato soltanto una frase, ma uno spirito, un modo di vivere la missione, un marchio di dedizione assoluta. Nel 1992, durante la difficile e complessa operazione umanitaria in Somalia, questo spirito trovò la sua più autentica e concreta espressione anche nel lavoro silenzioso, instancabile e spesso eroico degli uomini del Battaglione Logistico Paracadutisti “Folgore”.
Molti ricordano le operazioni del “Col Moschin” e le azioni più note, ma non tutti sanno che anche nella presa dell’Ambasciata di Mogadiscio, momento cruciale di quell’intervento, erano presenti uomini del Logistico. Tra loro il Maresciallo Capo Franco Naccarato, il Maresciallo Maggiore Amedeo Gargiulo e il Sergente Maurizio Bertolo: uomini concreti, determinati, paracadutisti nel cuore prima ancora che nella divisa.
Come testimonia lo schizzo operativo realizzato all’epoca dal Tenente Colonnello Bertolini, allora Comandante del Battaglione “Col Moschin”, il contributo del Logistico fu fondamentale per il successo dell’operazione. Perché se il combattente conquista il terreno, è il logista che gli dà i mezzi per farlo.
E in Somalia, terra dura e devastata dal conflitto, i paracadutisti del Logistico dimostrarono un ingegno e una capacità di adattamento straordinari. Emblematico è l’episodio del “baratto delle razioni K”: il Maresciallo Capo Naccarato, insieme al Sergente Maggiore Tebano, riuscì a trasformare le nostre razioni da campo in preziosa merce di scambio con le truppe americane.
Una razione K italiana – nota per la sua qualità e, soprattutto, per il famoso “cordiale” (il liquore ufficiale dell’Esercito Italiano) – poteva valere fino a dieci brandine o poncho liner statunitensi! Un piccolo capolavoro di diplomazia e spirito pratico, che migliorò concretamente la vita operativa del reparto.
Gli americani, come ricordano i testimoni, andavano letteralmente pazzi per il nostro liquore, pronti a qualsiasi scambio pur di ottenerne qualche bottiglia.
Ma l’impegno del Battaglione Logistico non si limitò al sostegno materiale.
Lo stesso Maresciallo Capo Naccarato partecipò attivamente all’addestramento al tiro della nascente polizia somala, utilizzando armi recuperate in loco — oltre 700 PPS sovietici — contribuendo alla ricostruzione dell’ordine e della sicurezza.
Un gesto concreto, di solidarietà e di competenza, testimoniato da rare fotografie che lo ritraggono durante l’addestramento e nel servizio di scorta alla giornalista del TG1, Dott.ssa Carmen La Sorella, presente in Somalia come inviata speciale.
Come riportava un trafiletto de “la Repubblica” del 27 dicembre 1992, la missione italiana seppe distinguersi per professionalità, umanità e risultati tangibili.
E dietro ogni successo operativo, c’erano loro: gli uomini del Logistico, pronti a intervenire ovunque, a sostenere chi combatteva, a garantire che la macchina militare non si fermasse mai.
Oggi, a distanza di anni, è doveroso ricordare e rendere onore a chi, lontano dai riflettori, ha reso possibile l’impossibile. Il Battaglione Logistico Paracadutisti “Folgore” è stato e resta un esempio luminoso di efficienza, ingegno e spirito di corpo.
Perché ovunque sia necessario servire, costruire, riparare, garantire continuità e sostegno, loro ci sono stati, ci sono e ci saranno.
Oggi è tempo non solo di ricordare, ma di far sapere.
Perché come diceva un vecchio paracadutista:
“Il combattente conquista la gloria, ma è il logista che gli dà le ali per arrivarci.”
Diam l’ALI alla Vittoria. Sempre, comunque e dovunque!
Battaglione Logistico Paracadutisti “Folgore” — Somalia, 1992.
Ferdinando Guarnieri
Fonte (AGENPARL) – Roma, 31 ottobre 2025
IRAQ – eventi collaterali
IRAQ – Eventi collaterali: casualità, intuizione, resilienza. Operazione “Antica Babilonia 1” – Il racconto personale di Ferdinando Guarnieri.

Il 2 luglio 2003 partii per l’Operazione “Antica Babilonia 1” in Iraq, come già raccontato in un precedente articolo.
Alcuni eventi “collaterali” che coinvolsero me e il Reggimento resero quel periodo per me emblematico, un intreccio di casualità, resilienza e intuizione – tre parole che ancora oggi sintetizzano perfettamente quei mesi intensi.
CASUALITÀ
Avrei dovuto partire con il mio Reggimento nel secondo turno (novembre-febbraio), ma il malessere improvviso del Comandante designato per il primo turno cambiò tutto.
La mia partenza fu anticipata, e il 6° Reggimento di Manovra assunse il comando immediatamente.
Per una beffa del destino, il Reggimento Trasporti che ci sostituì successivamente avrebbe poi pagato un prezzo altissimo, con la perdita di tre volontari durante la missione.
Confesso che non fui felice di partire in anticipo: non avrei potuto assistere alla discussione della tesi di laurea di mia figlia, prevista per il 9 luglio, che concludeva gli studi in Pedagogia con una tesi dedicata alla Resilienza nei bambini — un tema che, di lì a poco, avrebbe assunto per me un significato molto più profondo.
Le prime aliquote del Reggimento partirono da Pisa nella seconda decade di giugno, e agli inizi di luglio eravamo completamente rischierati a Tallil, a sud-ovest di An-Nasiriyah.
Lì le condizioni di vita erano proibitive: sabbia ovunque, caldo soffocante e lavoro incessante.
RESILIENZA
Il terzo giorno in Iraq, tre militari – un maresciallo e due volontari – chiesero di rientrare in patria per presunti motivi familiari.
Compresi che le difficoltà ambientali e psicologiche stavano iniziando a pesare su tutti.
La mattina seguente, durante il consueto momento dopo l’alzabandiera, decisi di parlare loro di resilienza.
Raccontai che mia figlia, rimasta in Italia, avrebbe discusso da lì a poco una tesi proprio su quel tema.
Citai ciò che avevo letto nella sua ricerca:
“In fisica, la resilienza è la capacità di un materiale di resistere a un urto, assorbendo energia senza spezzarsi.
In psicologia, indica la capacità di affrontare positivamente eventi traumatici, riorganizzando la propria vita dinanzi alle difficoltà, senza perdere la propria identità.”
Spiegai che tutti avremmo voluto essere a casa, io per primo, ma che il nostro giuramento alla Repubblica Italiana ci imponeva di affrontare il sacrificio con onore, trasformando quell’esperienza durissima in un’occasione di crescita e forza interiore.
Da quel giorno, nessun altro chiese di rientrare.
Mia figlia si laureò qualche giorno dopo la mia partenza, con 30 e lode. Mi telefonò subito dopo la discussione, ma nessuno dei due riuscì a parlare per l’emozione: eravamo entrambi in lacrime.
Otto anni dopo, in un grande magazzino di Livorno, un giovane mi si avvicinò chiedendomi se mi ricordassi di lui. Era stato con me in Iraq.
Alla mia esitazione, presentai mia figlia e lui disse:
“Mi scusi, Comandante, ma è lei la figlia che si doveva laureare in Pedagogia con la tesi sulla Resilienza?
Ricordo ancora il suo discorso… mi ha accompagnato per questi otto anni e mi ha fatto riflettere.”
Mia figlia mi guardò sorpresa: non le avevo mai raccontato che il suo studio era stato parte del mio intervento per incoraggiare i militari.
Se quel richiamo alla resilienza ha fatto bene a lui, mi auguro abbia fatto bene anche ad altri.
INTUIZIONE
I primi arrivati a Tallil, con l’aiuto di una squadra di lavoratori locali, iniziarono la bonifica dell’area: 500.000 metri quadri di deserto disseminato di macerie, rifiuti e sabbia.
Alloggi di fortuna, tende militari, luce fioca, razioni K come unico cibo e acqua fornita dagli alleati: così cominciò la nostra missione.
La polvere era onnipresente.
Per ridurne l’impatto, intuìi di utilizzare pompe d’irrigazione come quelle agricole per nebulizzare acqua e rendere più respirabile l’aria.
Durante un test, venni investito da una nuvola di goccioline: fu un sollievo immediato.
Da lì nacque l’idea di creare un’area ristoro per i militari.
In breve tempo nacque “Schizzo Beach – Lido Polvere d’Acqua”, uno spazio delimitato da container dove una pompa vaporizzava acqua sui soldati in pantaloncini durante le pause.
Un pittore del Reggimento realizzò un cartello con il nome e una simpatica fanciulla con salvagente a paperella.
La notizia si diffuse rapidamente tra i reparti e i giornalisti.
Il 12 agosto 2003, il Televideo RAI dedicò due pagine all’iniziativa: un piccolo simbolo di umanità e ingegno nel deserto iracheno.
EPILOGO
Il Reggimento operò in Iraq fino a fine ottobre, lasciando il campo a chi ci sostituì in una situazione decisamente migliore di quella che avevamo trovato: il nulla.
Il nostro contributo fu riconosciuto con la Medaglia di Bronzo al Valore dell’Esercito, conferita l’8 maggio 2006 alla Bandiera di Guerra del 6° Reggimento di Manovra, la stessa del Battaglione Logistico “Folgore”, già decorata per Somalia e Bosnia.
Ancora una volta, avevamo onorato il nostro motto:
“Diam l’ali alla Vittoria.”
Ferdinando Guarnieri
Fonte (AGENPARL) – Roma, 12 Novembre 2025
Supporto logistico
Operazione Antica Babilonia 1: Il ruolo del 6° Reggimento di Manovra in Iraq (2003) – Supporto logistico, resilienza e coraggio in un teatro operativo complesso.

“GALOPPAVA” l’anno 2003 ì ed io fui designato a comandare in IRAQ un GSA (Gruppo Supporto di Aderenza) in sostanza Reggimento di formazione ( 720 donne/ uomini circa) in prevalenza formato da personale del Reggimento e di altri Reparti di Budrio, Maddaloni Roma.
Una premessa è d’obbligo:
Il supporto logistico fuori area alle Brigate in operazioni è stato fornito per circa 26 anni dai Battaglioni logistici organici alle brigate. Nel 2001, per effetto di una ristrutturazione logistica (poi fallita) fu eliminato il supporto logistico di “aderenza” alle Brigate, i Btg Logistici divennero Reggimenti di Manovra (con le componenti Mantenimento, Rifornimenti e Sanità), e Reggimenti Trasporti (con le componenti Trasporti e Gestione Transiti). Tali reggimenti furono inquadrati in una Brigata Logistica di Proiezione con sede a Treviso il cui compito era quello di “proiettare” all’occorrenza fuori area a supporto delle Brigate che si avvicendavano nei diversi Teatri operativi, aliquote di un Reggimento di Manovra e aliquote di un Reggimento Trasporti di varia “consistenza” e di differente “peso” che costituiva un Gruppo Supporto di Aderenza.
Ciò avveniva in tutti i Teatri operativi: i GSA (Gruppo Supporto di Aderenza) affiancavano i reggimenti operativi organici alle Brigate in operazioni e venivano “potenziati” da nuclei del Reparto Mezzi Mobili Campali (Vettovagliamento, Panificazione e Lavanderia) di Maddaloni e da personale sanitario dell’ospedale Militare “Celio” di Roma che rendeva operativo e completavano l’assetto tecnico del Reparto di Sanità organico ai Reggimenti di Manovra.
La Logistica in sostanza, riveste una componente importante ed essenziale per la riuscita delle Operazioni fuori Area e produce “in silenzio”, garantendo il supporto previsto ed indispensabile.
Per l’Operazione “Antica Babilonia 1″ in IRAQ la Brigata Logistica di Proiezione scelse il 6^ Reggimento di Manovra di stanza a Pisa (ex Btg Logistico Folgore”) ed il 6^ Reggimento Trasporti (ex Btg L. della Brigata Friuli) che avrebbero formato il GSA; il Comandante del GSA sarebbe stato il Comandante del 6^ Reggimento Trasporti e sostituito dopo quattro mesi dal Comandante del 6^ Reggimento di Manovra. Alcuni problemi sanitari non trascurabili che riguardarono il Comandante designato del 6^ Reggimento Trasporti imposero al Comandante della Brigata di ordinare la partenza del comandante del 6^ Reggimento di Manovra già designato per il secondo turno: ero io con i miei uomini che avrei dovuto anticipare la partenza!
Non ne fui felice: non avrei avuto la possibilità di assistere alla discussione della tesi di mia figlia (neo laureanda in Pedagogia) che aveva preparato la tesi sulla RESILIENZA applicata ai bambini (che avevo letto e mi era piaciuta moltissimo). Particolare significativo che spiegherò più avanti.
Partii per l’IRAQ il 2 luglio del 2003 ( mia figlia si sarebbe laureata il 9 luglio).
Le prime aliquote del Reggimento erano partite da PISA nella seconda decade del mese di giugno e per gli inizi di luglio si è completamente rischierato in IRAQ in un area denominata TALLIL a sud ovest di AN-NASIRYAH.
Quando scesi dall’aereo e misi piede in territorio iracheno mi resi conto che la situazione operativa, funzionale, ambientale, infrastrutturale ( e psicologica) era difficilissima: mi indicarono un’area desertica vicino Tallil a sud ovest di AN-NASIRYAH di circa 500.000 mq.
La zona assegnata si presentava in completo stato di abbandono, in area desertica con la presenza di alcune stanze diroccate, ricolme di macerie, sabbia e polvere, con forte vento e caldo elevato.
Urgeva bonificare l’area.
Avremmo dovuto realizzare TUTTO: tendopoli, servizi igienici , mensa, panificazione, lavanderia, uffici, messa in funzione dei gruppi elettrogeni, rifornimento idrico con vesciconi da 20.000 litri e serbatoi fissi.
A Tallil ( in IRAQ) le condizioni di vita erano insomma proibitive: la sabbia nell’aria ti soffocava, il caldo era opprimente, il lavoro da fare tantissimo.
UN GIORNO LA PAURA BUSSÒ ALLA PORTA, IL CORAGGIO ANDÒ AD APRIRE E NON TROVÒ NESSUNO!”
Il terzo giorno di quella vita impossibile ( della quale io per primo mi rendevo conto) al mattino avevano chiesto rapporto al Comandante, un Maresciallo e due volontari.
Il Maresciallo mi rappresentò l’esigenza di rientrare in patria perchè la moglie non stava bene e i due volontari accamparono altre analoghe “scuse” per essere rimpatriati.
Il giorno successivo, all’adunata e dopo l’alzabandiera il Comandante di solito parla per alcuni minuti al reggimento riepilogando eventi del giorno precedente e l’attività della giornata.
Quella mattina memore delle “esigenze” rappresentatemi dal Mar e dai due Volontari feci un breve ma significativo discorso che non pensavo facesse molta ” presa” sui militari: parlai della RESILIENZA!
Parlai della Resilienza e raccontai loro quello che avevo appreso leggendo la tesi di mia figlia.
Per introdurre l’argomento accennai che alcuni Sottufficiali e Volontari si erano messi a rapporto rappresentandomi la necessità di rientrare accampando giustificazioni non reali.
La verità è che avevano accertato ( come tutti avevamo constatato) le condizioni di vita difficilissime ( se non impossibili) in IRAQ.
Dissi loro che anche io avrei voluto essere a casa per assistere alla tesi di mia figlia (che avrebbe dovuto discutere dopo qualche giorno) e parlai loro dell’oggetto della tesi e cosa significa Resilienza.
Il contenuto del virgolettato che segue è tratto dal web:
“In fisica e in ingegneria resilienza indica la capacità di un materiale di resistere a un urto, assorbendo l’energia che può essere rilasciata in misura variabile dopo la deformazione”.
“In psicologia, la resilienza è un concetto che indica la capacità di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà, di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza alienare la propria identità.
Sono persone resilienti quelle che, immerse in circostanze avverse, riescono, nonostante tutto e talvolta contro ogni previsione, a fronteggiare efficacemente le contrarietà, a dare nuovo slancio alla propria esistenza e persino a raggiungere mete importanti”.
. . . in sostanza cercai di far capire loro che TUTTI avremmo preferito essere a casa per vari motivi ma che noi, avendo effettuato un giuramento alla Repubblica Italiana, avremmo dovuto “stringere i denti” e cercare di trasformare quella nostra DURISSIMA esperienza in un’occasione per crescere, migliorare ed uscirne più forti.
Non ebbi da quel giorno altri collaboratori che mi rappresentarono personali esigenze fittizie o reali. (altro episodio significativo sul quale mi soffermerò già avanti).
I primi giunti, con l’aiuto di una squadra di “locali”, appositamente assunti, provvidero a “bonificare” l’area e le stanze da macerie e rifiuti. In quel periodo il cibo era assicurato unicamente da razioni militari a lunga conservazione (Razioni K); i servizi igienici erano garantiti da gabinetti campali “bonificati” con calce idrata; il rifornimento idrico era fornito dagli Alleati e da una scorta congrua di acqua in bottiglia; gli alloggi, per tutti, erano ricavati da tende militari illuminate dalla fioca luce di torce tascabili.
La prima nave di rifornimenti, giunta a fine giugno, ha consentito di poter disporre della mensa, dei servizi igienici campali, delle tende per servizi generali, delle stazioni di energia e di quant’altro occorreva per vivere muovere ed operare nelle migliori condizioni di efficienza.
In venti giorni una “fetta di deserto” depressa di 500.000 mq è stata ripulita, riordinata, “inghiaiata” e riorganizzata con servizi igienici funzionanti, la mensa, il panifìcio, la lavanderia. Attraverso un contratto a termine con una ditta Kuwaitiana, sono state prese in affitto tende con condizionatori tropicalizzati e condizionatori per gli uffici che hanno consentito di poter vivere per poi operare schierando gli organi logistici di supporto al Contingente.
Il supporto sanitario era garantito da una infcrmeria “rinforzata” fornita dal Reparto di Sanità di NOVARA del 6° Reggimento di Manovra.
Viste però le condizioni climatico ambientali proibitive le Superiori Autorità decidevano di potenziare tale supporto ed hanno disposto lo spiegamento di un Ospedale da Campo.
I moduli sanitari sono giunti a fine luglio unitamente ai tecnici militari forniti dall’Ospedale Militare “CELIO” di ROMA e della Croce Rossa Italiana. I medici e gli specialisti giunti (1 ematologo, 3 chirurghi, 1 anestesista, 1 dermatologo, 1 ginecologo, 1 ortopedico, 1 oculista, 1 cardiologo, 1 odontoiatra, 1 radiologo, 1 farmacista) unitamente ai paramedici (14 SU infermieri e 12 Crocerossine) hanno permesso, dal 9 settembre di poter disporre di un funzionale ed etfficientissimo
Ospedale da Campo con sala chirurgica, rianimazione, laboratorio analisi, farmacia e radiologia oltre che degenza per 50 posti, rischierato nel Compound del Gruppo Supporto di Aderenza a Family Quarters e di un Posto Medicazione Avanzato nel Compound del Comando Brigata “GARIBALDI” a White Horse.
I dati significativi relativi alle attività svolte dal 1 luglio 2003 al 15 ottobre 2003 dal Gruppo Supporto di Aderenza, in Operazioni Task Porce “EL ALAMEIN” sono così riepilogabili:
– circa 370000 km percorsi dalle unità trasporti;
– 683 interventi di riparazione pari a 6662 h. di lavoro del personale tecnico;
-113 automezzi inefficienti recuperati dalle unità di soccorso;
– circa 1.400.000 lt. di carburante distribuito a cura degli addetti ai rifornimenti;
– 2000 ton. di viveri ripartiti a favore di tutti i reparti del contingente;
– 1300 interventi sanitari di varia natura e gravità.
I sopraccitati dati sono significativi ed “illuminanti” se agli stessi vengono affiancati i dati relativi ai servizi di “scorta operativa” forniti che ammontano a nr. 210.
E’ il caso di precisare che le attività logistiche in Teatro Operativo, non sono esenti da “pericoli” propri dell’attività né da quelli che derivano dalla stessa operatività. Tutte le Operazioni svolte, infatti, prevedono un sostegno logistico che deve essere aderente all’attività svolta. Non a caso il Gruppo Supporto di Aderenza è stato coinvolto in due episodi (conflitti armati) durante i quali assicurava il sostegno logistico.
Ricordo che i “forieri di alloggiamento” già in IRAQ ( che precedono il reparto per preparare l’accampamento) mi avevano riferito che la polvere nell’aria era continua, visibile ed insopportabile.Per attenuare il problema, occorreva approvvigionare alcune pompe di irrigazione ( quelle che servono per innaffiare i campi a distanza) da utilizzare in quell’area.
Giunto in zona di operazioni mi resi conto che per buona parte della giornata, in effetti, l’aria era irrespirabile, il caldo insopportabile ( circa 70 gradi).
Feci montare la prima pompa e nell’assistere al “collaudo” ne verificai l’effettivo funzionamento.
Investito tra l’altro a distanza, da una nube di acqua polverizzata mi ” rivitalizzai” ( boccheggiavo per il caldo) e mi venne l’idea di realizzare un’area ristoro per i militari a riposo.
Individuai l’area ( delimitata da containers) e feci installare una pompa d’irrigazione che polverizzava e schizzava l’acqua sui militari . . . in pantaloncini !
Un bravo pittore, realizzò un cartello all’ingresso con la scritta SCHIZZO BEACH – LIDO POLVERE D’ACQUA ( autorizzato da me dipinse anche una fanciulla (con memorabile fondoschiena) munita di paperella salvavita.
La notizia della realizzazione si sparse anche negli altri accampamenti distanti e tra i giornalisti che non mancavano mai.
Il direttore di televideo che era in zona volle accertarsi personalmente della realizzazione che riportó su due pagine di TELEVIDEO il 12 agosto 2003. (vds foto)
Il lavoro realizzato in quattro mesi ( rientrammo a fine ottobre) fu davvero incredibile!
Una nota degna di menzione: mia figlia si laureò in Pedagogia qualche giorno la mia partenza per l’IRAQ: erano presenti oltre a mia moglie ed il fratello, amici e conoscenti ma io non c’ero!
Ci sentimmo per telefono al termine della discussione della tesi e NON riuscimmo a parlare ( eravamo in due a piangere ); riuscì a comunicarmi solo il voto: TRENTA CON LODE!!!
Rientrammo come ho già scritto, a fine ottobre lasciando le consegne ad un altro Reggimento che trovò una situazione certamente diversa da quella che noi avevamo trovato.
Otto anni dopo. . . ero con mia figlia) in un grande magazzino di Livorno e mi si avvicinò un giovane che mi chiese se mi ricordavo di lui (era stato con me in IRAQ).
Nel chiedergli di aiutarmi a ricordare, gli presentai mia figlia e lui disse:
” mi scusi Comandante ma è lei la figlia che si doveva laureare in Pedagogia con la tesi sulla Resilienza? Ero in IRAQ con lei ed ancora ricordo il suo discorso sulla resilienza che mi ha accompagnato per questi otto anni e mi ha fatto riflettere”.
Mia figlia mi guardava con aria interrogativa: non le avevo mai riferito che la sua laurea e la Resilienza erano stato oggetto di un mio intervento con i militari per superare quel difficile momento! Se il mio richiamo alla resilienza ha fatto bene a quel giovane mi auguro possa aver fatto bene anche ad altri.
II 6^ Reggimento di Manovra il 15 ottobre 2003 fu avvicendato dal 6^Reggimento Trasporti si sono comunque alternati in Teatro lo stesso 6° Reggimento di Manovra ed il 6° Reggimento Trasporti; è cambiata la sola “Direzione”:
Il Comandante del 6° Reggimento di Manovra ed il suo Comando lasciarono la guida del Gruppo Supporto di Aderenza ed il Teatro d’Operazioni in IRAQ al Comandante del 6° Reggimento Trasporti ed al suo Comando.
Le fasi di deflusso/afflusso sono avvenute dai porti e dagli aeroporti di CAGLIARI, PISA, NAPOLI, SALERNO e KUWAIT CITY e si sono concluse il giorno 19 ottobre con il rientro a PISA della Bandiera di Guerra del 6° Rgt. che partì da PISA il giorno 30 giugno 2003.
NOTA:Alle 10 e 45, ora locale, del 12 novembre 2003, quattro kamikaze su due veicoli imbottiti con un carico fra i 150 ed i 300 chili di esplosivo si lanciarono contro la nostra Base Maestrale a Nassiriya. Morirono in diciannove! Tra i deceduti alcuni volontari ( Caporal Maggiore Emanuele Ferraro, Primo Caporal Maggiore Alessandro Carrisi, Caporal Maggiore Pietro Petrucci) tutti in forza al 6^ Reggimento Trasporti che solo per caso aveva posticipato la sua partenza (secondo turno e non primo). Il 6^ reggimento di Manovra che avrebbe dovuto garantire il secondo turno di missione in IRAQ era rientrato 22 giorni prima.
Ferdinando Guarnieri
Fonte (AGENPARL) – Roma, 12 Novembre 2025
Una missione difficile
Bosnia-Herzegovina con il Btg. Log Par. Folgore. Cronaca di una missione difficile ma formativa, tra operazioni logistiche, interventi umanitari e riconoscimenti al valore

Alcuni amici (non militari) ed amiche, dopo aver letto l’articolo sulla mia prima esperienza fuori area in Somalia, mi hanno chiesto notizie sulle altre missioni che mi hanno impegnato durante il servizio.
Ritorno volentieri quindi “al passato” e scrivo della mia seconda esperienza fuori area in BOSNIA HERZEGOVINA (che coincide con la seconda missione fuori area del Btg, la prima in Somalia). Esperienza pur essa dura, formativa ed interessante perché maturata durante il mio comando di Battaglione (1995/1997): dura, per la durata ( nove lunghi mesi), formativa per l’esperienza acquisita ed interessante per la quantità di “lezioni apprese” in quel periodo. E’ solo il caso di ricordare che l’impegno, la professionalità, la dedizione di tutti gli uomini del btg, allora impegnati valsero una Croce di Bronzo al Merito dell’Esercito alla Bandiera di Guerra del Btg ed anche un “immeritato” riconoscimento (Croce d’Argento al Merito dell’Esercito) al fortunato comandante che in quel momento comandava il Btg (vds sul web Decreti e Decorazioni Battaglione Logistico Par Folgore).
Anche in questa missione la situazione generale apparve davvero drammatica: grattacieli bruciati, sede del quotidiano locale distrutta, ponti abbattuti, villette a schiera bombardate e crivellate di colpi d’artiglieria (vds foto).
Ma il big da subito si è mosso rivitalizzando la vecchia e distrutta Caserma TITO in un comprensorio funzionale e funzionante con cartello d’ingresso di benvenuto, con la sala convegno e riunioni realizzato in un vecchio locale stracolmo di macerie, dando in sostanza visibilità alla nota efficienza dei quadri tutti del Btg, non a caso le autorità in visita al contingente (Presidente della Repubblica, Presidente del Senato etc) venivano portate sempre in visita al Btg (vds foto).
Il Dott. Roberto Galli Capo cronista de IL TIRRENO di Pisa, che aveva avuto modo di conoscere ed apprezzare il Btg a Pisa, durante la celebrazione del Ventennale, venne a trovarci in Bosnia e il 5 sett 1996, dedicò una intera pagina del quotidiano al nostro Battaglione con il titolo “Con i parà pisani schierati a Sarajevo”.
Avevo già dedicato all’esperienza bosniaca un ampio, dettagliato (forse minuzioso) riepilogo di dove, come, quando e quanto è stato possibile realizzare con i magnifici uomini che avevo l’onore di comandare in quel periodo, nel libro dedicato al battaglione e riportato poi nel sito dello stesso battaglione.
Non entrerò quindi nello specifico, come già fatto, ma mi limiterò a “stralciare” dal libro (e dal sito) parte di quanto già scritto. Chi fosse interessato a saperne di più sa dove attingere ulteriori e più definiti particolari.
Di seguito lo stralcio tratto da MISSIONI:
“Nell’ ambito dell’ Operazione “Joint Endeavour”, il Battaglione riceveva l’ ordine di schierare il Centro Logistico, a sostegno del Contingente Italiano, in operazioni in Bosnia – Herzegovina per garantire il rispetto degli accordi di Dayton.
Il 25 giugno 1996 il Battaglione schierava il CL a Sarajevo in un’area della ex Caserma “TITO” . In nove mesi il BTG. L. PAR. “FOLGORE” in operazioni Centro Logistico della Brigata Multinazionale Nord, oltre al compito del supporto logistico di ITALFOR ha, per quanto possibile e dove possibile, garantito un supporto umanitario di elevata intensità garantendo il funzionamento ad elevatissimi livelli di tutto il Comando del Big. rendendo possibile altresì la dislocazione, in aree e in locali fatiscenti; ha realizzato una rete idrica di accumulo e distribuzione di circa 70.000 litri di acqua. Ha assicurato la difesa vicina del Centro Logistico e un posto di Osservazione in località Podromanija; ha gestito ricambi/ munizione, e viveri per 1.000 tonnellate. Ha erogato circa 15.000 litri di carburante al giorno con una capacità ricettiva di circa 210.000 litri di carburante ed hamovimentato 125 containers di materiali. In data 8 Novembre 96 il C.te della Brigata Multinazionale Nord ha tributato n° 5 encomi al Team di 3 SU e 2 VFB intervenuti per il recupero di un automezzo militare francese rovinato in una scarpata. L’ intervento diretto dal Capo Officina della Cp. Mantenimento M.C. Angelo Perna ha reso possibile mediante l’ utilizzo di strumenti da taglio, di estrarre dalle lamiere contorte dell’autocarro un militare francese gravemente ferito, dopo intenso, diffìcile e pericoloso lavoro, assicurando la salvezza del commilitone d’ Oltralpe. Ha percorso circa 300.000 km.
L’ Operazione più importante che ha interessato il contingente ha visto il Btg. L. impegnato in maniera massiccia: l’operazione Vulcano . In località MARCOVICI a pochi chilometri di SOCOLAC in piena zona serba, dal 18 al 24 Agosto sono state distrutte circa 400.000 tonnellate di esplosivo detenuto impropriamente e senza autorizzazioni in una scuola (vedasi foto fornello ed esplosioni). Il Btg. L. ha fornito, per tale occasione, i mezzi di trasporto necessari, i conduttori, i capi macchina, la manodopera indispensabile a trasportare il materiale dal sito in cui era stipato, fino alla zona predisposta per la distruzione. Per tale operazione sono stati tributati n° 2 compiacimenti e n° 2 encomi a personale del Btg. dal C.e della Brigata Multinazionale Nord. Per le elezioni presidenziali di Settembre ancora una volta il Btg., sia pure con un’aliquota, si dimostra all’altezza della situazione fornendo uomini e mezzi. Per tutte le operazioni “SCUDO” (coincidenti con gli incontri tra i tre presidenti croato-musulmano-serbo) il Btg. L. è stato impiegato con aliquote per recuperi e sgomberi di mezzi in avaria. L’attività umanitaria, è stata potenziata e coordinata grazie alla figura del Cappellano Militare, Don Claudio Pasquali prima e Don Giuseppe Bastia poi che hanno dedicato tutte le loro energie e risorse ad un’opera pastorale che non si è limitata all’assistenza spirituale dei Quadri Ufficiali, Sottufficiali e giovani volontari, ma anche e soprattutto a dare impulso rilievo e risalto all’opera umanitaria svolta a favore di un popolo martoriato anche in concorso con associazioni umanitarie.Tale attività si è svolta prevalentemente con raccolta fondi per adozioni a distanza dei bambini (n. 15 adozioni) e distribuzione di aiuti umanitari, giunti consistenti in finestre, vetri, porte, stufe, medicinali, viveri, coperte e vestiti, pacchi dono inviati dalla Croce Rossa Italiana e dall’Italia. Per l’iniziativa di Ufficiali, Sottufficiali e Paracadutisti che hanno coinvolto le famiglie in Patria in una gara di solidarietà, riceve a Sarajevo, materiale sanitario, medicinali, viveri, vestiario, materiale scolastico, giocattoli e pacchi dono. Per iniziativa del cap.le Scola del Battaglione, viene raccolta nella sua Parrocchia la somma di £ 6.000.000. Con una cerimonia alla Caserma “Tito”, sede del Battaglione, sono invitati 10 bambini con i rispettivi familiari e il Comandante assieme ai V.F.B. consegnano a Suor Admirata il denaro che sarà mensilmente versato ai bambini adottati. Il Btg ritira aiuti umanitari, fatti pervenire dalla Cooperazione Italiana e li distribuisce alla popolazione a pochi giorni dal rientro in patria,con una cerimonia di saluto ai paracadutisti del Battaglione Logistico Paracadutisti “Fulgore” alla quale ha presenziato l’ambasciatore Italiano Vittorio Pennarola.”
In Bosnia, ancora una volta il Btg L ha dimostrato di SAPER FARE e di FARE BENE (e FAR SAPERE anche in patria come e dove operava il Btg): oltre all’attività operativa e logistica a favore della Brigata, ha riattivato, dal momento del suo insediamento alla Caserma “TITO” tutti i servizi igienici esistenti ma non funzionanti, ha realizzato aree di svago coperte (sala giochi, campo di pallavolo-calcetto, sala televisione, palestra, bar) e scoperte (mini campo di calcio) bonificando aree stracolme di macerie; ha istallato scaldabagni elettrici in tutti i servizi igienici delle compagnie; ha garantito ai militari un comfort immediato grazie anche a sale di ritrovo di compagnia con televisione e sala lettura.
Una missione in definitiva piena, formativa, gratificante e questa volta con un nuovo valore aggiunto: i Volontari. Ai già validissimi Quadri Ufficiali e Sottufficiali che facevano parte del Btg. L. par. “FOLGORE” e di cui lo stesso Btg è sempre stato fiero, si era aggiunta una “cornice” di Volontari che integratisi tempestivamente e completamente nel Btg hanno dato prova di elevatissime qualità tecnico-professionali che messe al servizio del Btg. L, hanno reso possibile il raggiungimento di traguardi di tutto rispetto in materia logistica-organizzativa. Realistica ed inconfutabile prova di come, Volontari animati da serietà d’intenti, spirito di sacrificio e volontà di apprendimento abbiano dimostrato di essere, se ben seguiti e diretti, il sicuro e naturale vivaio di un Esercito di professionisti.
II 24 Marzo 1997 il Battaglione Logistico Paracadutisti “FOLGORE” terminate le operazioni di ripiegamento dalla BOSNIA-Herzegovina, rientrò dalla sua seconda missione fuori area, per riprendere le attività istituzionali presso le sedi stanziali (Caserma Artale, Bechi Luserna e Del Fante), con la stessa lena, lo stesso entusiasmo e la professionalità di sempre galvanizzate dai risultati conseguiti. Nove lunghi, entusiasmanti mesi che sono volati e non soltanto per me. Non c’è da stupirsi, il MOTTO del Btg. L. par. “FOLGORE” è: “DIAM L’ ALI ALLA VITTORIA”!
Ferdinando Guarnieri
Fonte (AGENPARL) – Roma, 1 Novembre 2025
Somalia 1933
Somalia 1993 – Ricordi di un Paracadutista della Folgore: Il cuore del Battaglione Logistico tra sabbia, onore e umanità

“Una nuova pagina Facebook Operazione Ibis Restore Hope 1992-1993 Folgore mi ha indotto a inviare in anteprima all’Amministratore della pagina alcune foto di quel periodo che intendevo pubblicare. Mi ha poi chiesto di corredarle con un ricordo scritto… ed eccomi qui, a tentare di racchiudere in poche righe emozioni che porto nel cuore da più di trent’anni.”
Correva – o meglio, volava – l’anno 1993. All’epoca ero Maggiore e ricoprivo l’incarico di Capo Sezione TRAMAT dell’Ufficio Logistico del Comando Brigata Paracadutisti Folgore. Il 17 marzo di quell’anno fui inviato, per conto dell’ONU, a prestare servizio con lo stesso incarico presso il Comando ITALFOR IBIS 2 in Somalia.
Un incarico da “topo d’ufficio”, apparentemente, ma in realtà un’esperienza profonda e formativa, preludio di un legame indissolubile con il Battaglione Logistico “Folgore”, che avrei poi avuto l’onore di comandare qualche anno dopo.
Il Battaglione era già schierato a Balad, circa 40 km a nord-ovest di Mogadiscio, dove assicurava il supporto logistico alla Brigata Folgore, attività umanitarie per la popolazione locale e persino assistenza e sostegno tecnico ai contingenti di altre nazioni – tra cui Stati Uniti, Corea e Pakistan.
Era la mia prima missione fuori area. Lasciai la mia famiglia – mia moglie, 38 anni, e due figli adolescenti – tra lacrime e orgoglio. Ma il dovere chiama. E così, con nel cuore la formula del giuramento prestato anni prima (“adempiere con disciplina ed onore tutti i doveri del mio stato per la difesa della Patria e la salvaguardia delle libere istituzioni”), preparai lo zaino.
Mia moglie volle infilare nel mio bagaglio una busta dei miei biscotti preferiti. Un piccolo gesto d’amore che avrebbe avuto un curioso epilogo.
Appena atterrato a Mogadiscio, mi colpì subito quel caldo soffocante, come se un gigantesco phon soffiasse aria bollente e sabbia direttamente sul portellone dell’aereo. Il viaggio in AR/76 verso l’ex ambasciata italiana mi mostrò un mondo sconvolto: miseria, distruzione, e un odore penetrante di morte, accentuato da un dromedario in decomposizione lungo la strada.
Durante i mesi a Balad, osservai una realtà che avrebbe cambiato per sempre il mio modo di vedere la vita e l’Italia.
Vidi abitazioni costruite con rami e paglia; ibis bianchi dal becco nero solcare i cieli del deserto; carcasse di auto e aerei abbandonati; camion stracarichi di paglia guidati da uomini scalzi.
Eppure, in quel contesto di desolazione, c’erano anche la dignità e la bellezza: le donne somale, eleganti anche nella povertà, percorrevano chilometri con un’anfora d’acqua sul capo; bambini bellissimi correvano sorridenti verso i nostri mezzi, raccogliendo con le mani gli spaghetti che offrivamo loro con affetto.
Visitai l’orfanotrofio “Guglielmo Marconi” di Balad, dove i piccoli ci accolsero agitando bandierine italiane. Quell’immagine mi toccò profondamente: scrissi una lettera al quotidiano Il Giornale, che la pubblicò, generando un’ondata di solidarietà e aiuti dall’Italia, grazie anche all’impegno delle mogli dei militari, coordinate dalla moglie del Generale Loi, comandante della Brigata.
Un episodio curioso chiuse quei mesi intensi: i biscotti che mia moglie mi aveva dato sembravano sparire. Ogni sera ne trovavo di meno, sbriciolati. Finché scoprii che condividevo la “razione dolce” con un topo, che di notte si infilava nella confezione sul mio improvvisato comodino.
Tra il caldo, la sabbia, la clorochina e la nostalgia, quell’esperienza mi lasciò soprattutto orgoglio e gratitudine. Orgoglio per essere parte della Folgore, per aver servito l’Italia tra la polvere d’Africa e per aver visto, anche in mezzo al dolore, l’umanità resistere.
Come recita il motto che da sempre accompagna la nostra grande famiglia paracadutista:
“Diam l’ALI alla Vittoria. Sempre, comunque e dovunque.”
Ferdinando Guarnieri
Fonte (AGENPARL) – Roma, 1 Novembre 2025
“In dietro non si torna”
“Indietro non si torna”: la vicenda del Battaglione Logistico Paracadutisti Folgore tra soppressione, smembramento e rinascita – Lettera al Direttore

Caro direttore
concordo pienamente con le Sue osservazioni.
In realtà, la soppressione del Battaglione Logistico Paracadutisti “Folgore” fu il risultato di un provvedimento ordinativo generale che interessò tutti i Battaglioni logistici destinati a garantire il supporto di aderenza alle Brigate operative.
Tali reparti furono infatti trasformati in Reggimenti di Manovra (dotati delle componenti di mantenimento e supporto sanitario) e in Reggimenti Trasporti (con le funzioni di trasporto e gestione transiti), posti alle dipendenze non più delle rispettive Brigate d’appartenenza, ma della Brigata Logistica di Proiezione con sede a Treviso.
In sostanza, le Brigate venivano private del proprio supporto logistico di aderenza sul territorio nazionale, mentre, nei teatri operativi all’estero, beneficiavano dell’assistenza fornita dal Gruppo di Supporto di Aderenza (GSA) — l’equivalente, in ambito NATO, di un Combat Service Support Battalion — costituito dalla “fusione” tra un Reggimento di Manovra e un Reggimento Trasporti.
Tutti i Battaglioni, dopo la trasformazione, vennero potenziati e conservarono la loro identità e le proprie origini. Tutti, tranne uno.
Il Battaglione Logistico Paracadutisti “Folgore” subì un vero e proprio smembramento: perse circa il 50% degli ufficiali (8 su 16), il 60% dei sottufficiali (33 su 50) e il 30% dei graduati paracadutisti (113 su 350), trasferiti ad altri reparti della Folgore.
Un patrimonio umano e professionale unico, disperso e frazionato.
Questa grave anomalia venne subito rilevata e rappresentata dall’allora primo Comandante del 6° Reggimento di Manovra – che era stato anche Comandante del Battaglione Logistico “Folgore” – durante una specifica riunione ad alti livelli.
La risposta, tuttavia, fu lapidaria e deludente:
“Indietro non si torna.”
Eliminare il supporto logistico di aderenza che il Battaglione forniva alla Brigata in patria, per offrirlo solo nei teatri esterni, si rivelò un provvedimento improvvido, inopportuno e incomprensibile — come giustamente ha sottolineato anche Lei, caro Direttore.
Volendo comunque guardare l’aspetto positivo, con una buona dose di resilienza, possiamo riconoscere che i quadri trasferiti ad altri reparti della Folgore seppero distinguersi ovunque, portando con sé le capacità organizzative, professionali e logistiche che avevano maturato nel Battaglione Logistico.
Le qualità di quegli uomini, in ogni nuova destinazione, continuarono a essere un marchio di efficienza e di spirito Folgore.
Per fortuna, dopo quattordici anni, indietro si è tornato, anche se con iniziali “stridor di denti”.
Una tardiva ma giusta correzione che ha permesso di restituire dignità e continuità a un reparto che ha sempre rappresentato un’eccellenza silenziosa dell’Esercito Italiano.
Con stima e amicizia,
Ferdinando Guarnieri
Fonte (AGENPARL) – Roma, 1 Novembre 2025
VM90

Il Veicolo Multiruolo VM 90, concepito e prodotto da Iveco Defence Vehicles a partire dal pianale e dalla meccanica dell’Iveco Daily, rappresenta nella storia recente della motorizzazione militare italiana un esempio emblematico di soluzione ibrida a metà strada fra l’autocarro tattico e il fuoristrada leggero, pensata per rispondere in modo flessibile alle molteplici esigenze operative delle missioni fuori area nonché ai compiti nazionali di pubblica sicurezza e protezione civile; entrato in servizio a partire dal 1990, il programma ha generato una famiglia articolata di versioni, derivate e allestimenti che ne hanno esteso l’impiego ben oltre il tradizionale ruolo di trasporto truppe, e che hanno dato origine anche a una declinazione civile (serie 40E10 W/M, quindi 40E13 e 40E15) destinata a forze di polizia e protezione civile. Progettato originariamente come macchina telonata per il trasporto tattico, il VM 90 nella sua versione base Torpedo si caratterizza per una struttura pensata per ricevere equipaggiamenti modulari e per sostenere operazioni logistiche e di scorta: la carrozzeria con cassone telonato ospita fino a 10 uomini (1+9 compreso il conducente), la trazione è integrale permanente con possibilità di bloccaggio manuale sui tre differenziali, la trasmissione prevede 5 marce più ridotte e la motorizzazione nella più recente evoluzione VM90T3 è un quattro cilindri da 150 CV a 3.800 giri/min, che consente una velocità massima di circa 105 km/h e un’autonomia dichiarata di 800 km; da questa versione di base sono nate successive evoluzioni tecniche e di allestimento, note come VM90T2 e l’attuale VM90T3, che hanno interessato particolari costruttivi e propulsori, nel quadro di una crescita continua di affidabilità e adattabilità. Accanto alla versione Torpedo, la famiglia VM 90 include la variante Protetto (spesso denominata, nei reparti, “scarrafone”), realizzata per soddisfare esigenze di maggiore sicurezza dell’equipaggio: la trasformazione più significativa riguarda la sostituzione del cassone telonato con un abitacolo posteriore integralmente blindato in acciaio balistico omologato dall’Esercito Italiano, dotato di porta posteriore, feritoie e fori per l’impiego di armi leggere senza esposizione diretta, nonché di botole per l’installazione di armi pesanti come le mitragliatrici; la blindatura è di tipo leggero ma garantisce protezione contro munizionamento 7,62 NATO ordinario, e la variante è stata adottata come soluzione rapida in attesa dell’acquisizione di veicoli più moderni quali i VBL Puma e gli LMV Lince; esistono molteplici allestimenti della versione Protetto, tra i quali quello specifico per l’Arma dei Carabinieri, versioni tropicalizzate e varianti con allestimenti interni da ambulanza, che attestano la versatilità progettuale del mezzo. La versione Ambulanza, riproposizione su telaio VM90 della cellula sanitaria, è concepita per il soccorso in ambiente ostile e per il trasporto feriti in ambito tattico: nella variante non protetta la cellula medica separata dalla cabina può accogliere fino a quattro barelle disposte su piani diversi, è munita di aerazione e illuminazione autonome, impianto per ossigenoterapia con due attacchi e scorta per tre bombole di O₂, e allestimenti sanitari completi analoghi a quelli di un’ambulanza civile; esiste inoltre una versione Ambulanza Protetta adottata in esclusiva in Italia dal Corpo militare volontario della Croce Rossa Italiana, con cinque posti e una barella integrata più scaffalature per dispositivi medici, segnaletica di soccorso (sirena bitonale, lampeggianti blu, croce rossa in campo bianco) e dotazioni conformi all’impiego in teatri operativi quali Iraq e Afghanistan. Ulteriori specializzazioni del progetto comprendono la versione Antincendio, impiegata dal Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, dal Corpo Forestale, da nuclei SMTS della Croce Rossa e da corpi antincendio privati: la cellula posteriore può essere configurata con modulo antincendio (serbatoio, lance e attacchi per manichette), modulo AIB per lotta agli incendi boschivi, moduli per servizio SAF o per polisoccorso, oltre alla semplice estensione della cabina; tali allestimenti sono stati realizzati sia dalla casa madre sia da carrozzieri specialistici come Baribbi, Magirus e BAI, che ne hanno curato l’adattamento alle specifiche esigenze operative. Le caratteristiche tecniche cambiano leggermente tra le varianti ma mostrano una sostanziale coerenza progettuale: molte versioni – in particolare quelle con motorizzazioni base da 2.499 cm³ e 4 cilindri – dichiarano una potenza di 75,7 kW (103 CV) a 3.800 giri/min, cinque marce, trazione integrale e un’autonomia di progetto di circa 800 km; le lunghezze spaziano da 4.500 fino a 4.880 mm, le larghezze da 1.980 a 2.040 mm e le altezze da 2.200 a 2.570 mm a seconda dell’allestimento, mentre la velocità massima delle versioni ambulanza e antincendio può raggiungere i 110 km/h. Sul piano operativo il VM 90 ha conosciuto un intenso impiego internazionale e nazionale: già durante l’esperienza in Somalia (Operazione Restore Hope) il mezzo è stato sperimentato sul campo e la sua vulnerabilità è emersa in maniera evidente dopo l’attentato a Nāṣiriya durante la missione Antica Babilonia in Iraq, episodio nel quale un veicolo colpito provocò la morte di cinque militari che si trovavano nell’abitacolo posteriore; le analisi successive indicarono che tre dei soldati morirono per shock termico e due per ustioni, circostanze che alimentarono critiche sulla scarsa protezione offerta dalle prime varianti blindate e che spinsero a ripensamenti su dotazioni, tattiche di impiego e a sviluppi di successive soluzioni protettive. Nonostante queste criticità, l’adozione del VM 90 si è rivelata ampia e diversificata: la versione Torpedo è in dotazione ai reparti dell’Esercito Italiano, alle unità terrestri della Marina Militare e dell’Aeronautica Militare, a vari reparti dei Carabinieri (inclusi i Reggimenti MSU e i Paracadutisti), al Corpo militare volontario della Croce Rossa Italiana e al Corpo di Polizia Penitenziaria; la versione Protetto è stata assegnata a reparti selezionati come i reggimenti MSU e Tuscania dei Carabinieri e, in configurazione ambulanza protetta, al personale sanitario da impiegare all’estero. L’impiego operativo del mezzo si estende ai teatri di Iraq e Afghanistan nonché ad attività di protezione civile interne, si segnalano utilizzi per il terremoto dell’Aquila nel 2009 e per l’emergenza migranti a Lampedusa, e ad altre istituzioni statali come i Vigili del Fuoco e il Corpo Forestale dello Stato, che ne apprezzano la mobilità fuoristrada e la capacità di raggiungere aree non accessibili ai tradizionali automezzi di soccorso. Sul piano tecnico e operativo il VM 90 è dunque il risultato di una scelta progettuale che privilegia modularità, manutentività e adattabilità: la sua genesi dal telaio commerciale dell’Iveco Daily ha consentito economie di scala e facilità di ricondizionamento, mentre la successiva proliferazione di versioni, Torpedo, Protetto, Ambulanza, Antincendio e molte varianti speciali, testimonia una strategia industriale tesa a massimizzare l’utilità operativa del progetto attraverso allestimenti mirati e conformi a normative e omologazioni militari. Le vicende d’impiego hanno però posto in evidenza il problema cruciale della protezione balistica in contesti di minaccia asimmetrica, contribuendo a orientare le scelte successive verso mezzi con più elevati standard di protezione individuale e collettiva; nondimeno, per la molteplicità di ruoli svolti, dal trasporto tattico al soccorso sanitario, dall’antincendio boschivo alle attività di ordine pubblico, il VM 90 rimane un capitolo significativo nella ricostruzione delle forze motorizzate italiane degli ultimi decenni, un ponte tra soluzioni commerciali e esigenze militari che ha dato luogo a una linea di veicoli ampiamente diffusa e adattata, oltre che alla versione civile 40E destinata a corpi di polizia e protezione civile, e il cui impiego e trasformazioni tecniche riflettono tanto le sollecitazioni del teatro operativo quanto le mutate priorità in materia di protezione e versatilità dei mezzi.
Roberto Marchetti
Fonte: wikipedia.org
Mohammed Farah Aidid

Mohammed Farah Hassan, noto come Aidid — il cui nome somalo è Maxamed Faarax Caydiid — nacque a Belet Weyne il 15 dicembre 1934 in una famiglia appartenente al clan Habr Ghedir del gruppo Hauia; la sua vicenda personale e politica si intreccia strettamente con le trasformazioni traumatiche della Somalia post-coloniale e con le dinamiche di potere tribali e militari che finirono per trascinare il paese in una guerra civile prolungata. Figlio di un periodo di amministrazione fiduciaria sotto l’egida delle Nazioni Unite e dell’Italia, Aidid entrò giovanissimo nelle forze dell’ordine locali: nel 1954 fu inviato in Italia per un addestramento in una scuola di fanteria a Roma e, rientrato in patria, lavorò sotto alti ufficiali di polizia somali fino a divenire nel 1958 capo della polizia nella provincia del Banaadir; l’anno successivo tornò ancora in Italia per ulteriori studi. Con l’indipendenza della Somalia, proclamata nel luglio del 1960, Aidid passò all’esercito nazionale con il grado di tenente e, grazie alle sue doti e alla congiuntura geopolitica dell’epoca, fu selezionato per un lungo corso di studi militari presso l’Accademia militare di Frunze nell’Unione Sovietica, esperienza che consolidò la sua formazione e lo inserì stabilmente nelle élite militari somale. La svolta autoritaria del 1969, con il colpo di Stato di Siad Barre, lo vide salire rapidamente nei ranghi fino al grado di tenente colonnello, ma la sua carriera fu segnata anche da sospetti e repressione interna: Barre, vedendolo potenzialmente pericoloso, lo fece incarcerare per sei anni — un episodio che lasciò segni duraturi e che si concluse con la sua liberazione nel 1975, quando Aidid riprese la carriera militare. La guerra d’Ogaden contro l’Etiopia del 1977–1978 lo proiettò ulteriormente sulla scena nazionale; per il comportamento mostrato in quel conflitto fu promosso a brigadier generale, e negli anni successivi ricoprì incarichi di vertice, divenendo aiutante di campo del presidente Barre e ottenendo nel 1979 un seggio parlamentare. La progressiva sfiducia di Barre, che percepiva negli Hauia e in Aidid un nucleo di potenziale opposizione — gli Hauia, del resto, occupavano molte delle principali cariche sia civili che militari sin dall’indipendenza — portò al suo isolamento diplomatico: nel 1984 Aidid fu nominato ambasciatore in India, mossa interpretata come un allontanamento dai centri di potere, nonostante sia noto che in certi periodi avesse diretto anche i servizi segreti somali. Il processo di mobilitazione dell’opposizione culminò nella formazione del Congresso della Somalia Unita (USC) nel 1987, fondato in larga parte da elementi del suo gruppo clanico; Aidid aderì all’organizzazione nello stesso anno e a dicembre ne assunse il comando dell’ala militare, abbandonando formalmente l’incarico diplomatico in India nel 1989 per tornare in patria e farsi protagonista diretto degli eventi. All’inizio del 1991, con la rottura definitiva dell’apparato di potere di Siad Barre, Aidid guidò le forze dell’USC nell’assalto e nella presa di Mogadiscio, contribuendo alla caduta del regime e costringendo Barre a lasciare la città la sera del 26 gennaio 1991; tuttavia la fase successiva, caratterizzata da decisioni politiche e spartizioni di potere, innescò la frattura tra i capi dell’USC: l’elezione di Ali Mahdi Mohamed a presidente ad interim fu contestata violentemente da Aidid, che, forte del sostegno tribale, scelse la via della resa dei conti armata piuttosto che dell’accordo politico. Il rifiuto di accettare una leadership alternativa trasformò la lotta per il controllo della Somalia in una guerra civile aperta: nel luglio 1991 la Conferenza di pace di Gibuti confermò Ali Mahdi alla presidenza, ma Aidid intensificò la sua opposizione e nel corso dei mesi successivi il paese precipitò in una delle fasi più sanguinose della sua storia contemporanea; Mogadiscio, teatro di scontri sempre più feroci, fu divisa da una “Linea Verde” che separava le sfere di influenza dei contendenti. L’ascesa di Aidid a signore della guerra e le azioni delle sue milizie attirarono rapidamente l’intervento internazionale: nel 1992 l’Alleanza Nazionale Somala guidata da Aidid divenne uno degli obiettivi principali sia dell’operazione umanitaria Restore Hope guidata dagli USA sia della successiva missione di peacekeeping UNOSOM II, poiché la situazione sul terreno minacciava non solo la stabilità regionale ma anche l’efficacia degli aiuti umanitari; le tensioni degenerarono in scontri diretti contro contingenti stranieri — il 5 giugno 1993 le unità pakistane furono attaccate in quello che venne chiamato lo scontro della Radio, con la perdita di 23 soldati pakistani, e il 2 luglio fu l’unità italiana a subire un’imboscata nota come la battaglia del Pastificio, nella quale persero la vita tre militari. L’apice delle ostilità con le forze internazionali si raggiunse il 3–4 ottobre 1993 nella celebre battaglia di Mogadiscio, quando i miliziani di Aidid inflissero gravi perdite alle forze statunitensi — diciotto soldati americani uccisi — e a un contingente malese, evento che segnò profondamente l’opinione pubblica internazionale e accelerò la ritirata delle forze occidentali; nonostante le operazioni delle Nazioni Unite e delle coalizioni straniere, la caccia a Aidid non raggiunse un esito definitivo e la comunità internazionale alla fine decise un progressivo ritiro: Stati Uniti e Italia lasciarono il paese nel marzo 1994, mentre l’ONU concluse la sua presenza formale nel marzo 1995. In questo quadro di frammentazione e di accuse incrociate, Aidid e i principali attori della scena furono sospettati di coinvolgimenti in traffici illeciti di armi e, con accuse ancora controverse, anche di rifiuti tossici; tali sospetti furono al centro di inchieste giornalistiche pericolose, e l’uccisione a Mogadiscio dei giornalisti italiani Ilaria Alpi e Miran Hrovatin pochi giorni prima del ritiro del contingente italiano restò un episodio oscuro collegato a quegli stessi scandali. Dopo il vuoto di potere creato dal ritiro internazionale, Aidid nel giugno 1995 si autoproclamò presidente della Somalia: un atto che di fatto pose fine alla debole autorità formale di Ali Mahdi ma che non gli valse alcun riconoscimento internazionale e che rifletteva più il tentativo di consolidare un potere de facto che una reale capacità istituzionale di governo; il controllo esercitato da Aidid sul territorio rimase sempre limitato e contestato, tanto che nel settembre 1995 i suoi miliziani attaccarono la città di Baidoa causando vittime e la cattura di cooperanti stranieri, episodio che sottolineò l’incapacità di ristabilire l’ordine e la persistente frammentazione delle forze sul territorio. Le faide interne tra signori della guerra continuarono fino agli ultimi mesi della sua vita: il 24 luglio 1996 Aidid rimase ferito in uno scontro con le milizie di Ali Mahdi e con quelle di Osman Ali Atto — un tempo alleato e finanziatore — e, sottoposto a intervento chirurgico per le ferite riportate, morì il 1º agosto 1996 a Mogadiscio per un arresto cardiaco durante o subito dopo l’operazione. La sua eredità politica proseguì nella figura del figlio Hussein, che aveva emigrato negli Stati Uniti a diciassette anni, ottenuto asilo e servito nei Marines nel 1987; tornato in Somalia dopo la morte del padre, Hussein rivendicò a sua volta la presidenza prima di rinunciare alle pretese nel 1997, mentre l’orizzonte istituzionale del paese vide solo a partire dal 2000 un tentativo di normalizzazione con l’elezione di Abdiqasim Salad Hassan, cugino di Aidid, a presidente riconosciuto — un fatto che testimonia la persistenza dei legami clanici nella politica somala e la difficoltà di costruire istituzioni nazionali sovraordinate alla logica delle fazioni. La figura di Aidid rimane dunque emblematica di un’intera fase storica della Somalia: un militare formato nelle scuole straniere e inserito nelle élite nazionali che, oscillando tra ruoli istituzionali e strategie di potere tribale, divenne protagonista della caduta dello stato centralizzato e dell’entrata in una fase caotica e violenta che segnò profondamente il paese e l’intervento della comunità internazionale.
Roberto Marchetti
Fonte: wikipedia.org
AB205

Il Bell UH-1 Iroquois, universalmente noto come “Huey”, rappresenta una pietra miliare nell’evoluzione dell’aviazione a decollo verticale e una delle macchine militari più emblematiche del XX secolo; il suo sviluppo nasce da una gara indetta dall’U.S. Army nella prima metà degli anni Cinquanta che mise la Bell Helicopter di Fort Worth, Texas, in condizione di progettare un elicottero leggero utility moderno nelle soluzioni meccaniche e spinto dall’innovazione del turboalbero: il prototipo XH-40, equipaggiato con un motore Lycoming T53-L-1A da 860 shp, compì il primo volo il 22 ottobre 1956 e fu seguito da sei prototipi di preserie YH-40 consegnati dall’agosto del 1958; i test dimostrarono rapidamente la validità del progetto spingendo l’esercito a ordinarne la produzione su larga scala e a ridenominarlo, dapprima HU-1 e poi UH-1 (H per Helicopter, U per Utility), segnando così la nascita di un nuovo standard per gli elicotteri militari. Dal punto di vista tecnico e concettuale, la principale innovazione dell’UH-1 rispetto ai modelli a pistoni allora in servizio come gli H-34 e gli H-21 fu l’adozione del motore a turboalbero: più leggero, con un rapporto peso/potenza nettamente superiore, esso permise un deciso miglioramento delle prestazioni utili, maggior carico trasportabile, migliore potenza residua e manutenzione semplificata, mentre l’architettura generale del velivolo, dall’impostazione della fusoliera al rotore, offriva un aspetto più moderno e funzionale che la Bell commercializzò come Model B-204. La rapida diffusione dell’UH-1 fu anche il risultato della flessibilità d’impiego insita nel progetto: le prime varianti di produzione, la A (173 esemplari) e la B (1014 esemplari), furono pensate rispettivamente per il trasporto di cinque e di sette soldati equipaggiati, con la B dotata di un turboalbero più potente da 960 shp, ma fu l’evoluzione verso fusoliere più ampie e potenze maggiori che segnò il salto di scala operativo. La versione a fusoliera allungata Model 205, entrata nell’US Army come UH-1D, ampliò la capacità di carico fino a 11 uomini in trasporto tattico o a configurazioni miste con mitraglieri laterali armati con M60 da 7,62 mm su sottosistemi fissi tipo M23; la 205 differiva inoltre per un rotore più grande e un turboalbero portato a circa 1100 shp, e i 2000 esemplari prodotti della variante D, oltre ai prototipi YUH-1D, resero questa versione il principale elicottero da trasporto tattico, il cosiddetto “slick”, in grado di eseguire operazioni di imbarco e sbarco rapido delle squadre fucilieri nelle condizioni difficili dei teatri operativi contemporanei. La versatilità del progetto favorì anche la riconversione di molti 204B in velivoli armati, con equipaggi multidisciplinari in grado di utilizzare armi d’incremento come lanciarazzi a 70 mm, lanciagranate automatici da 40 mm, complessi di mitragliatrici M60 e le minigun rotanti da 7,62 mm; questa tendenza, che sfruttava la piattaforma modulare e l’affidabilità meccanica dell’UH-1, aprì la strada alla specializzazione dei futuri elicotteri da attacco (primariamente l’AH-1 Cobra, Bell Model 209) ma non tolse allo Huey il ruolo centrale nelle operazioni di trasporto, supporto ravvicinato e MEDEVAC. È in tale contesto operativo che si spiega la fama che l’UH-1 acquisì durante la guerra del Vietnam: gli UH-1A giunsero in Vietnam già nel 1962 impiegati inizialmente per scortare trasporti più datati come i Piasecki CH-21 Shawnee, ma ben presto i comandi militari compresero che la mobilità verticale offerta dallo Huey rivoluzionava la tattica, dalla rapidità di inserimento ed esfiltrazione delle squadre di fanteria alla possibilità di proiettare forze rapide in terreni mutevoli e inaccessibili per i mezzi terrestri, tanto che quotidianamente gli UH-1 effettuarono missioni di tipo variegato: dal trasporto truppe al supporto armato, dall’evacuazione medica alla tipica attività di scorta e ricognizione. La diffusione dei ruoli MEDEVAC, in Vietnam spesso indicata con il termine “Dustoff”, si dovette anche alla capacità degli UH-1 di ridurre i tempi di trasporto dei feriti verso ospedali da campo e centri chirurgici, incrementando in modo significativo le probabilità di sopravvivenza; parallelamente, i limiti del progetto emersero con uguale chiarezza: la sottile fusoliera metallica li rendeva vulnerabili al fuoco leggero, e nelle condizioni climatiche calde e umide del Sud-Est asiatico le prestazioni motore potevano risultare penalizzate, riducendo il carico utile effettivamente impiegabile. La necessità di maggiore potenza e strumenti migliorati portò alla versione H (Bell Model 205A-1), che fu una UH-1D con motore T53 potenziato a circa 1.400 shp e, dal 1967, risolse molti problemi di potenza preesistenti; la prima unità ad esserne equipaggiata fu la 45th Medical Company (Air Ambulance) a Long Binh nel luglio 1967 e la H introdusse anche attrezzature per il volo notturno e agli strumenti, rendendola più adatta a missioni complesse. Con quasi 4.900 esemplari prodotti, l’UH-1H entrò in servizio in oltre cinquanta nazioni, segnando la diffusione internazionale del progetto e generando, per esigenze locali, versioni costruite o assemblate su licenza: tra queste le varianti Agusta-Bell AB 212 e AB 412 trovarono ampia diffusione, per esempio, anche in Italia, dimostrando la longevità tecnica del progetto che, pur soppiantato in molti ruoli dai velivoli di nuova generazione come l’NHIndustries NH90 o il Sikorsky UH-60 Black Hawk, ha mantenuto una nicchia funzionale nel corpo dei Marines statunitense e altrove grazie alle dimensioni più contenute e alla maneggevolezza richiesta per operare nello spazio angusto delle navi da sbarco anfibio. Dal punto di vista operativo, l’intenso impiego in Vietnam si tradusse in perdite sensibili: a causa dell’uso massiccio e delle caratteristiche del conflitto andarono perduti circa 2.000 esemplari delle versioni 204 e 205, dato che sottolinea il costo umano e materiale della strategia d’impiego basata sulla mobilità elicotteristica. Il successo dell’UH-1 non fu solo tecnico e tattico ma anche culturale: la silhouette dello Huey, il suo ronzio caratteristico e le sue missioni di salvataggio e combattimento divennero simboli visivi della guerra del Vietnam e vennero riprodotti in innumerevoli opere cinematografiche e televisive, da Apocalypse Now a Platoon, da We Were Soldiers a Forrest Gump, alimentando l’immaginario collettivo attorno all’elicottero come icona di quell’epoca; nelle arti popolari e fumettistiche, così come nei videogiochi e nella memoria veterana, lo Huey è spesso sinonimo di mobilità, vulnerabilità e salvataggio, un mezzo che cambiò abitudini tattiche, procedure mediche sul campo e la percezione strategica del teatro operativo. La storia tecnica e operativa dell’UH-1 mette inoltre in evidenza processi industriali, logistici e geopolitici: la produzione su larga scala, l’adozione di configurazioni multiruolo e la successiva esportazione e produzione su licenza in molte nazioni testimoniano come un progetto ingegneristico possa plasmare dottrine militari e creare un mercato internazionale, mentre le successive versioni e gli alias commerciali confermano l’adattabilità del progetto a esigenze civili e militari diverse. L’analisi storiografica del fenomeno UH-1 richiede dunque di considerare simultaneamente elementi tecnici (architettura del rotore, propulsione a turboalbero, capacità di carico e armamento), operativi (impiego tattico, tattiche MEDEVAC, scorta armata, supporto ravvicinato), umani (vulnerabilità degli equipaggi, esperienza dei piloti e dei mitraglieri, impatto sulle comunità locali), industriali (processi di produzione, adattamenti su licenza, manutenzione e logistica), e culturali (rappresentazione mediatica, memoria collettiva dei conflitti), tenendo conto che l’eredità dello Huey continua a essere rilevante tanto nelle forze armate che nelle collezioni storiche e nelle narrazioni pubbliche della seconda metà del Novecento.
Roberto Marchetti
Fonte: wikipedia.org