Carcano Mod. 91

Carcano Mod. 91

Foto: wikipedia.org

Il fucile descritto è un esemplare del celebre Modello 1891, più noto come “Modello 91” o semplicemente “’91”, arma simbolo della fanteria italiana tra la fine del XIX e la prima metà del XX secolo. Realizzato dalla Fabbrica d’Armi dell’Esercito di Terni (FAET), presenta una canna in acciaio fusa con precisione e montata su una cassa lignea sagomata, completata da una cinghia in cuoio concia e modellata per consentirne il trasporto a tracolla, secondo l’uso militare del tempo. La forma mistilinea dell’arma riflette l’attenzione all’ergonomia e alla funzionalità, mentre le misure – una lunghezza complessiva di 128,5 cm (circa 158,3 cm con baionetta montata) – indicano un’arma pensata per l’impiego a lunga gittata, adatta alla guerra di trincea e ai combattimenti a distanza. Degno di nota è l’alzo a quadrante installato sulla canna, che permette la regolazione della mira da 600 a 2000 metri, con tacche intermedie ogni ettometro, oltre a due mire fisse preimpostate a 300 e 450 metri: tale dispositivo era espressione della sofisticazione tecnica che contraddistinse il progetto originario del fucile, volto a garantire precisione di tiro anche in condizioni operative difficili. Il manubrio di caricamento e il meccanismo di sparo, in questo esemplare, risultano rimossi, probabilmente a fini museali o di disattivazione. Sotto la volata è visibile l’innesto a “T” per l’applicazione della baionetta, un elemento standardizzato per le armi bianche in dotazione all’epoca. L’arma reca impresse matricole sia sulla canna che sul calcio, assieme al marchio della FAET, segno di un’attenta tracciabilità produttiva da parte dell’apparato industriale militare italiano. Adottato ufficialmente dal Regio Esercito Italiano il 5 marzo 1892, il Modello 91 rappresenta una svolta cruciale nella storia dell’armamento militare nazionale: progettato in risposta a un bando pubblico per dotare la fanteria di un fucile a ripetizione moderno, l’arma si distingueva per l’utilizzo del calibro 6,5 mm, soluzione allora innovativa che garantiva un peso contenuto della cartuccia e, di conseguenza, la possibilità per il fante di portare un maggior numero di colpi. Sebbene inizialmente tale calibro suscitasse perplessità – soprattutto per problemi di logoramento della canna in prossimità della camera di scoppio e per la tendenza del proiettile a frantumarsi – tali difetti vennero superati attraverso l’introduzione di una rigatura a quattro righe destrorse e l’adozione di proiettili in piombo rivestiti da una lega di rame e nichel. L’arma è conosciuta a livello internazionale con il nome composito di “Mannlicher-Carcano-Parravicino”, che riflette la complessa genesi progettuale: Carcano, ufficiale del Regio Esercito, sviluppò l’otturatore ispirandosi a quello tedesco Mauser; Mannlicher è associato alla concezione del serbatoio e del caricatore a pacchetto, anche se ricerche recenti condotte da Alessandro Bison attribuirebbero la paternità del serbatoio al capitano Pietro Bertoldo, già noto per importanti modifiche apportate al precedente fucile “Vetterli”; Parravicino, infine, fu il presidente della commissione che sovrintese al progetto. Il fucile utilizzava un sistema di alimentazione a pacchetto che consentiva di inserire sei cartucce simultaneamente in un serbatoio centrale fisso e aperto, mediante un caricatore perpendicolare alla canna: tale sistema, rapido ed efficiente, rappresentava un’innovazione per l’epoca e contribuiva alla celerità d’uso durante le fasi concitate del combattimento. La popolarità e la diffusione capillare del Modello 91 nel corso della Prima Guerra Mondiale e nei conflitti successivi ne fecero un oggetto familiare ai soldati italiani, al punto che nel lessico popolare e dialettale l’arma era conosciuta semplicemente come “skiop”, termine colloquiale che ne esprimeva la pervasività nella vita militare del periodo. In sintesi, il Modello 91 rappresenta un caposaldo della storia militare italiana, frutto della transizione tecnologica e dottrinale che caratterizzò la fine dell’Ottocento, incarnando lo sforzo dell’industria nazionale nel modernizzare l’equipaggiamento della fanteria secondo le esigenze di un’epoca in rapido mutamento.

     Roberto Marchetti

Fonte: Fonte: lombardiabeniculturali.it