Pistola a rotazione modello 1874

Pistola a rotazione modello 1874

Foto: wikipedia.org

La pistola a tamburo nota ufficialmente come “Pistola a rotazione modello 1874”, ma più comunemente conosciuta con il nome dei suoi ideatori, “Chamelot-Delvigne Mod. 1874”, rappresenta uno dei capitoli più significativi nella storia delle armi corte militari dell’Ottocento e del primo Novecento, con una longevità d’impiego che attraversa quasi un secolo. L’arma nacque dall’ingegno dello svizzero J. Chamelot e del francese Henri-Gustave Delvigne (1800-1876), che svilupparono il progetto originario nel 1871, affidandone successivamente la produzione alla fabbrica d’armi belga “Pirlot Frères” di Liegi. Il modello riscosse un immediato successo, adottato in prima istanza dall’esercito svizzero e in seguito dall’esercito francese, che ne avviò la produzione interna tramite la prestigiosa “Manufacture d’armes de Saint-Étienne” (MAS). La sua introduzione nel Regio Esercito italiano avvenne poco dopo, in un’epoca di progressiva modernizzazione degli arsenali militari nazionali. La “Officina Metallurgica Francesco Glisenti” e la “Regia Fabbrica d’Armi di Brescia” furono incaricate della produzione sul suolo italiano, segno dell’importanza strategica attribuita all’arma. L’introduzione ufficiale nella dotazione dell’esercito fu sancita dalla circolare n. 165 del 14 dicembre 1874, che dispose la sostituzione graduale dei precedenti revolver a spillo modello 1861 Lefaucheux. Il modello 1874 fu quindi distribuito ai reparti italiani fino al 1888, data che segna anche il periodo in cui cominciò ad affermarsi il revolver ideato da Carlo Bodeo, il quale rappresentava un aggiornamento tecnico e funzionale del precedente Chamelot-Delvigne. Tuttavia, nonostante l’introduzione del nuovo modello, il revolver 1874 rimase in servizio per un periodo sorprendentemente lungo: venne impiegato nelle campagne coloniali italiane, nella repressione del brigantaggio e durante la Prima Guerra Mondiale, dove trovò utilizzo tra le truppe ausiliarie, in cavalleria e nelle unità di seconda linea. La longevità dell’arma si deve tanto alla solidità del progetto quanto alla robustezza dei materiali e alla semplicità del meccanismo, che ne facilitarono la manutenzione e ne garantirono l’affidabilità anche in condizioni avverse. La sua presenza è documentata anche durante la Seconda Guerra Mondiale, dove, complice la scarsità di armi moderne, fu utilizzata tanto dalle forze della Repubblica Sociale Italiana quanto dai gruppi partigiani. In tempi di pace, il revolver trovò infine un’ulteriore applicazione nei corpi di polizia municipale italiani, con un servizio che si protrasse fino al 1962. Dal punto di vista tecnico, l’arma si presenta con un’impugnatura in legno di noce zigrinato, completa di coccia con anello portacorreggiolo, e una struttura in acciaio fuso a incastellatura chiusa che integra completamente il tamburo, garantendo maggiore robustezza e protezione al meccanismo interno. Il tamburo, con capacità di sei colpi calibro 10.35 mm, viene caricato dalla parte posteriore tramite uno sportello sul lato destro, secondo il sistema Abadie. L’estrattore ad asta, collocato anch’esso sul fianco destro, consente la rimozione del tamburo per le operazioni di pulizia. La canna è ottagonale all’esterno, dotata di quattro rigature destrorse all’interno, con mirino fisso vicino alla volata e tacca di mira integrata nel castello. Il meccanismo di sparo è a doppia azione con due posizioni del cane: una per la sicurezza, l’altra per il fuoco. Il numero di matricola è punzonato sopra il calcio, mentre sul lato sinistro del telaio, davanti al tamburo, è inciso il marchio del fabbricante con la data di produzione. Questo tipo di revolver, appartenente alla tradizione della produzione bresciana d’armi, rappresenta un punto di incontro tra la cultura ingegneristica francese, l’eccellenza belga nella costruzione d’armi leggere e la consolidata tradizione armiera italiana. Con una lunghezza totale di 31 cm, un’altezza di 15 cm e uno spessore di 4.5 cm, la “Chamelot-Delvigne Mod. 1874” costituisce un pezzo fondamentale della storia militare e industriale italiana, non solo per la sua efficacia tecnica, ma anche per il contesto storico e politico in cui fu utilizzata e per l’ampiezza del suo impiego che attraversò guerre mondiali, epoche monarchiche e repubblicane, trasformazioni sociali e militari.

     Roberto Marchetti

Fonte: lombardiabeniculturali.it