Diario del Ten Mauro Pietro

Sulle nuove posizioni i paracadutisti della Folgore si sentirono più uniti e fu un lavoro arduo, da parte del Gen. Frattini, coadiuvato dal Col. Bignami Vice Com.te della Divisione e dai Magg. Verando e Sivo, quello di raccogliere tutte le unità paracadutiste pervenute in Africa alla spicciolata ed in tempi diversi, accentrandoli in unità di linea che presero il vero nome di Divisione “Folgore”, abbandonando quello fin allora conservato di Cacciatori d’Africa.
D’altra parte i reparti paracadutisti avevano già fatto conoscere il loro vero nome attraverso la loro azione, che era eccezionale ed individuabile al nemico.
Sui campi di battaglia avevano primeggiato per coraggio e decisione le pattuglie di neozelandesi e australiani.
Essi riuscivano, col favore della notte, ad infiltrarsi nella nostra rete difensiva, portando scompiglio e morte.
I paracadutisti della Folgore si erano subito adattati a questa forma di combattimenti che più confaceva alla struttura del loro fisico ed alla libera loro iniziativa , e furono messi in contrapposto alle pattuglie nemiche, che ovunque incontrarono i nostri reparti, ebbero la peggio anche se più numerosi.
Questa forma di combattimento notturno fu la migliore difesa delle nostre linee, che si sentirono cautelate da ogni eventuale sorpresa favorita dalla oscurità e fruttò a noi la cattura di numerosi prigionieri e di mezzi bellici.
Arrivammo così al 4 sett. 1942: da questo momento l’iniziativa viene assunta dal nemico ed i reparti della Folgore, che sono tutti in prima linea, ne rimangono seriamente impegnati.
Allo 4,30 di quel giorno il nemico iniziò un violentissimo tiro di artiglieria che si abbatté poderosamente su tutto lo schieramento italo-tedesco. Almeno 50 batterie preparavano l’azione, che aveva la finalità di impegnare le forze allineate per il balzo su El Alamein, e di concentrare mezzi corazzati e truppe d’assalto su un settore determinato, che apparve subito essere il fronte più avanzato dell’intera armata, costituita da un saliente attorniato da una larghissima depressione.
Questo saliente era Deir El Munasside, tenuto saldamente dai reparti del 187° Regg. Folgore, al, comando del Col. Camosso.
Avevo in quei giorni di relativa tranquillità accompagnato il Magg. Zaninovich, comandante del II btg., in un rapido giro di ispezione nelle posizioni tenute dai reparti della Folgore ed ebbi la fortuna di trovarmi il 4 settembre presso il Comando del 187° Rgt. Folgore, dove avevo visitato l’ospedale reggimentale tenuto egregiamente dal Cap. med. Atella.
Mi ero così formato un’idea particolare del sistema a capisaldi da noi usati e della necessità non da tutti vagliata del medesimo. Dopo l’esperienza della battaglia difensiva, sostenuta dal 10 al 27 luglio 1942, dalle forze italo-tedesche, nella quale si erano subite ingenti perdite di uomini e mezzi e lo schieramento italo-tedesco sul fronte di El Alamein risultava per uomini e mezzi, ridottissimo di fronte al nemico, il comando supremo italo-tedesco aveva giustamente ritenuto che la sistemazione difensiva oltrechè economizzare l’impiego di uomini e mezzi fosse la più idonea per resistere ad ogni azione di disturbo da parte del nemico, e la più capace a mantenere l’allineamento di un fronte così vasto che andava dalle posizioni di El Alamein alla depressione di El Qattara.
Il caposaldo italiano informato al principio della economia di uomini e mezzi ed allo scopo di abbracciare quanto più spazio fosse possibile era costituito sulla base della compagnia, con larghi intervalli tra l’una e l’altra. Ciascun caposaldo era difeso da una fascia di 10-15 metri di mine di un sol tipo, recinta da reticolati, ed aveva la profondità di circa 500 metri ed una larghezza di circa 800. le compagnie paracadutiste, così sistemate, avevano i mezzi sufficienti per assicurarci l’autodifesa e per poter sviluppare una eventuale reazione negli spazi interposti.