Diario del Ten Mauro Pietro

Verso le 18 iniziamo il trasferimento sul fronte con grossi autocarri della Ditta Favarelli. Si percorre la Via Balbia, che costeggia il mare. Lo spettacolo che ci appare è sempre uniforme: terreni desolati e rossastri; relitti di macchine; profonde buche aperte dalle bombe.
Si arriva a Ai el Gazala che è già notte. Una pattuglia di carabinieri, all’ingresso del paese, ci consiglia di accamparci a qualche chilometro di distanza, perché la zona è continuamente sorvolata da aerei nemici che la illuminano con i loro bengala.
I nostri automezzi proseguono e ci fermiamo su un vasto pianoro pietroso e punteggiato di verde e di cespugli. Là passeremo la notte. Si dispone un servizio di guardia, si fanno le solite raccomandazioni di non accendere fiammiferi e di rimanere fermi, in caso di luminarie da parte del nemico. La notte non è del tutto tranquilla: il ronzio degli apparecchi è continuo ed i loro bengala, illuminano stranamente la natura immota.
All’alba riprendiamo il nostro viaggio e, finalmente, attraversiamo il confine dell’Egitto, risalendo il passo di Halfaya e giungendo, in serata, a Sidi Barrani, e, quindi a Marsa Matruh.
Marsa Matruh è linda come una cittadina del veneto, inquadrata in larghi viali alberati; c’è del verde e dell’acqua. Anche qui la furia della guerra che lascia il segno nelle vie che attraversa si è fatta sentire.
Qui facciamo rifornimento di acqua e di viveri. La Delegazione Intendenza, comandata dal Ten. Col. Soldani, si mette completamente a nostra disposizione.
Rimaniamo una notte e un giorno ed abbiamo il tempo di ascoltare dai veterani di più battaglie come la cittadina fu più volte conquistata e perduta. Ritraggo con il mio obiettivo alcuni gruppi di soldati, che recano su di sé il segno dell’aridità di quel sole, delle fatiche, delle battaglie. Impressiono qualche paesaggio, un carro armato nemico sventrato ed alcuni campi di mine lasciate dagli inglesi.
Lì incontro il capitano Loffredo che ci aveva preceduto con la sua compagnia artieri divisionali.
Si fa notte: notte umida e fredda. Ci allontaniamo dalla cittadina e ci accampiamo ad alcuni chilometri.
La mattina dopo, si punta su El Dabà giungendovi dopo circa tre ora e seguendo la litoranea quasi sempre parallela alla ferrovia ed alla costa.
El Dabà è e sarà fino all’ultimo giorno la nostra base logistica. Sarà l’unica base che, per volontà del suo comandante, rimarrà ferma sul posto, anche quando il triste rovescio della battaglia di El Alamein riporterà i fanti della Folgore, esausti e sfiniti, dalle prime linee verso la costa, in fatale ripiegamento.
La base di El Dabà chiuderà l’odissea di quella battaglia, assistendo fino all’ultimo con viveri, acqua, munizioni i reparti combattenti, vigilerà il trasporto dei feriti e delle truppe nelle posizioni retrostanti., curerà che fino all’ultimo fante riceva il suo aiuto e rimarrà come l’ultimo caposaldo della Folgore dinanzi al nemico che ha già dilagato dal fronte frantumato, tentando di agganciare gli ultimi resti della Divisione.